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I sindaci sapevano di Tributi Italia
Una risoluzione della commissione Finanze del 2009 inchioda tutti alle proprie responsabilità

Lo scandalo truffa a 400 comuni italiani da parte di Tributi Italia spa, con l’arresto per peculato a Chiavari dell’amministratore delegato Giuseppe Saggese, 52 anni, nato a Taranto, ma ligure d’adozione, viene da lontano. Il modus operandi di Tributi Italia era noto da tempo, tanto da divenire oggetto di un’indagine conoscitiva parlamentare da parte della commissione Finanze presieduta da Gianfranco Conte in cui nel corso delle audizioni ci si accorse che in molti o tutti sapevano.

 

E ciò nonostante i sindaci sempre più numerosi si sono affidati a questa società poi finita nei guai giudiziari. A leggere la risoluzione della commissione Finanze della Camera, approvata il 25 novembre 2009 al termine di una indagine conoscitiva, sorgono inquietanti interrogativi. Fin dalla sua premessa: «La società Tributi Italia spa, concessionaria della riscossione per numerosi comuni italiani, versa in una situazione di gravissimo squilibrio finanziario, risultando debitrice, secondo i dati forniti dal direttore generale delle finanze del ministero dell’Economia, nel corso dell’audizione del 12 novembre 2009 dinanzi alla commissione finanze, nei confronti di circa 135 comuni, per un ammontare complessivo di oltre 89 milioni di euro relativi a tributi riscossi e non riversati ai comuni competenti». La preoccupazione di alcuni deputati è per i dipendenti della società che possono perdere il lavoro.

 

Ma le audizioni raccolte dalla commissione Finanze hanno fatto emergere «uno scenario inquietante», in relazione ad alcune indagini penali che già allora interessavano Tributi Italia «con pesanti responsabilità personali ed istituzionali, in ordine alla vigilanza sulle concessioni per la riscossione delle entrate degli enti locali e alla gestione di tali rapporti». Alcuni municipi finirono in dissesto finanziario a causa di quella vicenda. Il parlamento, allora, chiese al governo di intervenire vietando la costituzione di società miste tra enti locali e soggetti privati per la riscossione dei tributi locali. Chiese addirittura un affiancamento istituzionale degli enti locali interessati dal rapporto con la società Tributi Italia. Alle audizioni intervenne anche l’Anci, ma Conte, ricorda, che sostennero di non saperne niente. Non fecereo bella figura. Eppure, in molti vedevano, sapevano. Mai scandalo finanziario fu previsto con così circostanziata precisione. «Nella sede di Tributi Italia, da un anno commissariata», annota il Secolo XIX, «lo stupore tra i dipendenti, divisi tra la sede di Genova e quella di Chiavari, non è tanto dovuto alla scoperta della Guardia di finanza, quanto al tempo che ci è voluto per arrivare all’arresto di Saggese». Il deputato del Pdl, Maurizio Bernardo, già primo firmatario della risoluzione del 2009, è ritornato sull’argomento con un’altra risoluzione, approvata anch’essa, datata 1 giugno 2011. Sì, perché, Tributi Italia si occupava della riscossione ordinaria dei tributi locali ed anche della riscossione coattiva dei tributi non riscossi. Ed è proprio nella fase del recupero crediti che si sono verificati i problemi maggiori. Anche perché i proventi per la società di Saggese erano più alti con i cattivi pagatori: fino al 30%, «inoltre è in quella fase», spiega Conte, «che si aprono i contenziosi fra l’esattore privato e il Comune, spesso dall’esito incerto». Governo, parlamento, enti locali tutti erano avvertiti sui rischi. Perché hanno continuato a fidarsi di Saggese, allora? Il Fatto quotidiano, sempre attento alle questioni giudiziarie, ieri ha rafforzato questo interrogativo ricordando che Saggese era già stato arrestato a Pomezia il 14 luglio del 2001. «Su disposizione dei magistrati della Procura di Roma Diana De Martino e Salvatore Vitiello i carabinieri gli avevano notificato un mandato di custodia cautelare. All’epoca Saggese era titolare della Publiconsult ed era finito agli arresti domiciliari con l’accusa di corruzione. La società faceva parte dell’Aser, l’azienda a capitale pubblico-privato per la riscossione dei tributi comunali a Pomezia». In quell’occasione era finito anche in carcere l’ex sindaco e vari consiglieri comunali sia di centrodestra sia di centrosinistra. L’imprenditore era tornato in libertà su ordine del gip. Nel novembre del 2009 scoppiò il caso del comune di Aprilia, ricordato anche dal Corriere della Sera. In quell’occasione per Saggese erano stati chiesti 3 anni e 8 mesi. Saggese era finito di nuovo ai domiciliari il 29 aprile del 2009 nell’ambito di una inchiesta della magistratura di Velletri per un presunto giro di ammanchi in numerosi comuni del Lazio. Anche in quell’occasione, il 14 maggio 2009, Saggese è tornato in libertà. La magistratura compirà il suo corso anche questa volta. Ma sui sindaci il giudizio deve essere innanzitutto politico e devono rispondere ai propri elettori spiegando come era ancora possibile fidarsi.


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