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Monti spegne la luce, è austerity
Con la legge di stabilità 2013 anche l'operazione Cieli bui per risparmiare energia pubblica

Quasi quarant’anni dopo torna l’austerity. È questo il sapore della norma contenuta nella legge di Stabilità 2013, approvata ieri dal Consiglio dei ministri. Nome nuovo: si chiama operazione «Cieli bui»; e non è certo collegabile al contesto internazionale dello choc petrolifero del 1973; ma il succo è lo stesso.
Si tratta del drastico contenimento del consumo energetico per tagliare la spesa pubblica. All’uopo verrà firmato un Dpcm (Decreto della presidenza del consiglio dei ministri) che regolerà lo spegnimento dell’illuminazione «ovvero un suo affievolimento, anche automatico, attraverso appositi dispositivi, durante tutte o parte delle ore notturne»; l’individuazione delle vie e dei quartieri «nelle quali sono adottate le misure dello spegnimento o dell’affievolimento dell’illuminazione». Per un esecutivo, che con il presidente del consilgio Mario Monti, iniziava a vedere la luce in fondo al tunnel della crisi, è forse questo il provvedimento più emblematico della Finanziaria 2013.

Tutto fuorché aumentare l’Iva
Eppure, ogni cosa risulta buona, fuorché aumentare l’Iva (questa possibilità è stata cancellata nell’ambito della legge). Andavano assolutamente trovati i 6,5 miliardi di euro necessari e non si è evitata nell’immediato un’altra stretta sulla spesa sanitaria delle regioni (per 1,5 miliardi) e altre drastiche misure (vedi altri servizi all’interno). È salita a 11,6 miliardi di euro la manovra sul bilancio pluriennale per il triennio 2013-2015, ai fini della riduzione del saldo netto da finanziarie: 6,6 miliardi nel 2013, 4,1 miliardi nel 2014, 900 milioni nel 2015. Per la detassazione dei contratti di produttività sono destinati 1,2 miliardi nel 2013 e 400 milioni nell’anno 2014, mentre tra le spese irrinunciabili ci sono 800 milioni di euro per Rfi, 800 per l’Anas e altrettanti per la Torino-Lione; 1,6 miliardi annui per il trasporto pubblico locale; circa un miliardo per il Mose di Venezia e 300 milioni di penale per la mancata costruzione del Ponte sullo Stretto. Non mancano neppure i micro-finanziamenti come per esempio i 10 milioni di euro per Radio radicale.

Il sacco di Reggio Calabria
Le proporzioni del dissesto economico e politico di Reggio Calabria, che da ieri ha il triste primato di essere il primo capoluogo di provincia sciolto per contiguità con la criminalità organizzata, sono impressionanti. Il commissario, infatti, servirà anche ad avitare il crac di una città violata e depredata con un buco finanziario da 180 milioni di euro. Ciò nonostante il ministro dell’Interno, Anna Maria Cancellieri, abbia sottolineato che «non è uno scioglimento per dissesto». «Una decisione valutata con molta sofferenza», ha aggiunto, «ma abbiamo la volontà di restituire il paese alla legalità: senza legalità non c’è sviluppo e dobbiamo aiutare le regioni più compromesse». Altra precisazione: «Lo scioglimento riguarda questa amministrazione, non quella precedente ed è un atto preventivo, non sanzionatorio: è stata una decisione sofferta, documentata, studiata e approfondita». In particolare gli episodi che si sono dimostrati decisivi hanno riguardato «i controlli preventivi per gli appalti, la gestione dei beni confiscati alla mafia, la gestione dei mercati e delle case popolari». «Ora Speriamo che la città possa trovare la serenità e riprendere il suo cammino», ha concluso la Cancellieri, «vogliamo che Reggio sappia che questo è un atto di rispetto per la città». Ad amministrare ReggioCalabria fino a nuove elezioni sarà nominata una commissione composta dal prefetto di Crotone, Vincenzo Panico, dal dirigente dei servizi ispettivi di finanza pubblica della Ragioneria generale dello Stato, Dante Piazza, e dal vice prefetto Giuseppe Castaldo.

Ddl anti-corruzione, la notte porta consiglio
È stata esaminata in seduta notturna, ieri, con inizio alle 20.30, la parte penale del ddl anti-corruzione, modificata dai tre emendamenti presentati la settimana scorsa del ministro della Giustizia Paola Severino su magistrati fuori ruolo, traffico di influenze illecite e corruzione fra privati. Rispetto al limite di dieci anni di incarichi fuori ruolo, norma contenuta all’articolo 18 del ddl, ha anticipato il presidente della commissione Filippo Berselli, «si lavora a estendere la platea delle eccezioni», sulla base degli emendamenti di Pd e Pdl. Si avvia a conclusione, dunque, anche la seconda lettura a palazzo Madama, dopo il primo via libera della Camera a giugno.

Agli esodati toccherà il fondo ad hoc
Sull’argomento si è sfiorato il caos. L’iniziativa parlamentare pro-esodati e anti-riforma Fornero dell’ex ministro del Lavoro, Cesare Damiano, ha viaggiato spedita finché non si è trattato di fare i conti. Duro lo stop della commissione Finanze sulla copertura finanziaria tramite i giochi e le scommesse. Ancor più perentorio l’altolà della Ragioneria generale dello Stato. Il provvedimento si rivolgerebbe ad una platea amplissima e costerebbe alle casse dello Stato 30 miliardi di euro: l’equivalente di un colpo di spugna sulla riforma previdenziale approvata soltanto un anno fa. Alla fine, il governo procederà secondo l’indicazione del ministro Elsa Fornero, ossia si creerà un fondo ad hoc previsto all’interno della legge di Stabilità e si aiuteranno i casi più gravi e «non le persone che hanno lasciato il lavoro con buonuscite e pensioni generose».

Il confine a destra di Pisanu
«Le risposte di Pier Ferdinando Casini e Gianfranco Fini sono positive ma giustamente circospette perché attendono di conoscere i confini politici, programmatici e pratici di questa apertura». Beppe Pisanu spiega così la cautela nei confronti del passo indietro di Silvio Berlusconi. Il messaggio è: ci vuole un confine a destra oltre che a sinistra. Perfino il Ppe, che ultimamente ha imbarcato un po’ tutti, lo ha tracciato.


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