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Contributo di solidarietà bocciato
La Consulta demolisce uno dei punti più discussi della manovra 2010. Riflessi sulla legge di stabilità

Brutto colpo per i conti pubblici: quella sorta di contributo di solidarietà chiesto dalla legge finanziaria estiva del 2010 a magistrati e dirigenti pubblici è incostituzionale. Lo ha stabilito la Consulta con la sentenza 11 ottobre 2011, n. 223, che dunque demolisce uno dei punti qualificanti della manovra tremontiana disciplinata dall’articolo 9 della legge 122/2010.
E probabilmente le conseguenze della pronuncia della Consulta avranno ricadute sulla legge di stabilità, che nel frattempo è stata varata dal governo.

Tagli agli stipendi dei magistrati. La Consulta ha rilevato in primo luogo l’incostituzionalità dell’articolo 9, comma 22, della legge 122/2010: In primo luogo nella parte in cui dispone che ai magistrati non siano erogati, senza possibilità di recupero, gli acconti degli anni 2011, 2012 e 2013 e il conguaglio del triennio 2010-2012, fissando ulteriormente un blocco degli acconti fino al 2015; in secondo luogo, laddove non esclude il blocco degli adeguamenti retributivi al personale non contrattualizzato, disposti dal comma 21; infine, nella parte in cui prevede che l’indennità speciale prevista dall’articolo 3 della legge 27/1981, sia ridotta del 15% per l’anno 2011, del 25% per l’anno 2012 e del 32% per l’anno 2013. La sentenza spiega che in termini generali non è da escludere che il legislatore, per rispondere ad esigenze finanziarie, posa anche intervenire con misure di contenimento della spesa legata alle retribuzioni dei magistrati. Tuttavia, ciò entro limiti che ne garantisca l’indipendenza, la quale si realizza anche mediante sistemi non discrezionali di progressione di carriera e di determinazione e adeguamento del trattamento economico. In modo che i magistrati non siano soggetti a periodiche rivendicazioni nei confronti di altri poteri.
La legge 122/2010, invece, è andata oltre i limiti e vincoli ipoteticamente ammissibili, con contenuti anche parzialmente retroattivi ma, in particolare, laddove inficia gli strumenti di adeguamento automatico, finalizzati a garantire la posizione di indipendenza della magistratura.

Dirigenti pubblici. La scure della Corte costituzionale cade anche sull’articolo 9, comma 2, della legge 122/2010, ai sensi del quale i trattamenti economici dei dirigenti pubblici superiori a 90.000 euro lordi annui sono ridotti del 5% per la parte eccedente, riduzione che sale al 10% per la parte eccedente 150.000 euro.
Secondo la sentenza, la decurtazione assume, a ben vedere, tutta la veste di una vera e propria imposizione tributaria e non una modificazione del rapporto di lavoro, tale da giustificare una variazione sinallagmatica della retribuzione. La Corte costituzionale sottolinea che le amministrazioni pubbliche debbono versare quanto risparmiato allo stato, senza per altro differenziare la disciplina per le amministrazioni (territoriali o meno) non statali, le quali finiscono per essere solo un sostituto di imposta, non traendo alcun beneficio dall’applicazione della decurtazione. Ulteriore conferma di una costituzionalmente illegittima imposizione tributaria derivante dall’articolo 9, comma 2, è la permanenza degli obblighi previdenziali al lordo della «riduzione» (terzo periodo dell’impugnato comma 2, è la previsione che la riduzione non opera ai fini previdenziali: ciò dimostra «che la temporanea decurtazione del trattamento economico integra, in realtà, un prelievo a carico del dipendente pubblico e non una modificazione (peraltro unilaterale) del contenuto del rapporto di lavoro, alla quale avrebbe dovuto necessariamente conseguire, secondo ragionevolezza, una corrispondente modificazione di tali obblighi». Dunque, la legge 122/2012 ha creato una vera e propria «imposta speciale» applicabile solo ai pubblici dipendenti di qualifica dirigenziale, violando il principio di eguaglianza.

Ricadute. La decisione della Consulta giunge non del tutto inaspettata, né desta troppe sorprese. In effetti, l’articolo 9, commi 2, 21 e 28, della legge 122/2010 ha agito in maniera eccessivamente spregiudicata, sul piano costituzionale, nel tentativo di rastrellare dalle spese di personale risorse da risparmiare. La violazione dei principi di eguaglianza era stata resa ancora più evidente quando il Parlamento non approvò alcun prelievo di solidarietà nell’ambito del lavoro privato. Il momento nel quale la sentenza giunge è, tuttavia, molto delicato. Proprio mentre il governo allestiva una legge di stabilità tesa ad inasprire altri contenuti dell’articolo 9 della legge 122/2010 (quelli connessi al congelamento della contrattazione). Gli importi complessivi non sono particolarmente elevati, trattandosi di norme più che altro simboliche. Tuttavia, gli enti dovranno fare i conti con un esborso imprevisto, proprio mentre le risorse sono progressivamente ridotte.


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