MAGGIOLI EDITORE - La Gazzetta degli Enti Locali


Tagliati oltre mille revisori
Bilanci. La legge di conversione del Dl 174/2012 prevede la decadenza immediata con nuovi collegi

Il decreto enti locali che dopo il voto della Camera si avvia verso la conversione definitiva in legge al Senato segna l’ennesimo giro di giostra per i revisori dei conti, sia dal punto di vista del numero dei posti in gioco sia da quello dei compiti da svolgere nelle verifiche sui bilanci dei Comuni.
Sul primo versante, la novità più rilevante intervenuta a Montecitorio è rappresentata dal l’abrogazione dello slancio centralista che aveva spinto il Governo a prevedere la scelta ministeriale del presidente del collegio nelle città con più di 60mila abitanti e nei capoluoghi di Provincia (oltre che nelle Province). Con gli emendamenti approvati alla Camera, i collegi tornano a essere completamente composti da commercialisti e revisori legali, senza l’ingresso dei dipendenti ministeriali che avrebbe comportato più di un problema di professionalità, e forse anche di legittimità costituzionale visto che in base al Titolo V gli enti locali sono allo stesso livello dello Stato nell’architettura della Repubblica. Traducendo il tutto in numeri, si tratta di 208 posti “riconquistati” dalla categoria (nelle 99 città con più di 60mila abitanti, nei 29 Comuni capoluogo di Provincia sotto quella soglia e nelle 80 Province che sopravviveranno al riordino).
Ciò che si recupera negli enti più grandi, però, rischia di venir perso, con gli interessi, nei Comuni più piccoli, e sempre per effetto della legge di conversione del decreto sugli enti locali. Il provvedimento cambia infatti la geografia della revisione nelle Unioni di Comuni, introducendo un collegio di tre membri in capo all’Unione che sostituisce il revisore monocratico oggi al lavoro sia nelle Unioni sia negli enti che le compongono. Già oggi le Unioni sono 370 e raccolgono 1.871 Comuni per cui, come ha calcolato per esempio Patrizio Battisti, presidente della commissione enti locali dell’Ordine dei dottori commercialisti e degli esperti contabili di Tivoli (Roma), il saldo sarebbe negativo per 1.131 posti. Ma c’è di più: anche nella versione più flessibile scritta nel decreto di luglio sulla revisione di spesa, il riordino dei piccoli enti porterà all’interno di nuove Unioni molti piccoli enti che oggi vivono “in solitudine”, con il risultato di ridurre ulteriormente gli spazi per i professionisti che lavorano con la Pa locale.
Non è finita: nei Comuni che già oggi sono aggregati in Unioni, il cambio della guardia dovrebbe essere rapido. Gli emendamenti approvati la scorsa settimana alla Camera stabiliscono infatti che i revisori attuali «decadono» all’atto della costituzione dei nuovi collegi, che vanno formati con il meccanismo dell’estrazione dalle liste regionali introdotto dalla riforma in via di attuazione. In pratica, la norma non prevede nemmeno la fine del mandato dei professionisti attuali, incappando nello stesso errore che caratterizzava la prima versione del taglio-Lanzillotta del 2006 (quello che portò da tre a uno i revisori negli enti fra 5mila e 15mila abitanti) e che fu poi costretto a cedere il passo alle norme ordinarie del Codice civile.
La riscrittura della revisione nei piccoli enti rischia dunque di tornare a infiammare le polemiche sul ruolo dei professionisti nella Pa locale, e di creare più di qualche problema applicativo. Non è solo questione di posti: in linea teorica l’azzeramento dei revisori nei piccoli enti può essere considerato coerente con la struttura delle Unioni future, con il bilancio dell’Unione che diventa il pilastro dei conti locali a scapito del bilancio del singolo ente. Il compito, però, non si presenta facile, anche perché lo stesso decreto sugli enti locali riempie di nuovi compiti l’agenda dei guardiani dei conti comunali all’interno del nuovo sistema dei controlli interni chiamato a verificare oltre agli equilibri finanziari il grado di attuazione dei programmi e a intervenire con «correttivi tempestivi» a correggere i casi di inefficienza.
Ma c’è un ultimo aspetto, che rischia di avere un effetto paradossale. In teoria, la riforma dei piccoli enti dovrebbe aggregare in Unioni tutti i Comuni sotto i 5mila abitanti, che sono però gli unici in cui possono debuttare i revisori al primo incarico secondo la riforma. Se quindi l’eccezione alle Unioni, che consente ai Comuni di legarsi in convenzioni rimanendo però distinti, non fosse seguita da nessuno, non ci sarebbe più una via d’accesso al ruolo di revisore dei conti per chi non ha già altri mandati alle spalle.

Le novità

01 | NELLE CITTÀ
Cancellata la norma, contenuta nella versione originaria del decreto enti locali, che prevedeva nelle città sopra i 60mila abitanti, nelle Province e nei capoluoghi di Provincia la nomina del presidente dei revisori da parte del Governo, scegliendolo tra i dipendenti ministeriali

02 | NEI PICCOLI COMUNI
Nei Comuni inseriti in Unioni decade il revisore dei conti: la revisione è affidata esclusivamente a un collegio in capo all’Unione, chiamato a controllare i conti della stessa Unione ma anche dei Comuni che la compongono

03 | EFFETTO IMMEDIATO
Si prevede che i revisori decadono all’atto della costituzione dei nuovi collegi

04 | NUOVI REVISORI
Per la riforma i revisori al debutto possono operare solo negli enti fino a 5mila abitanti, dunque la nuova norma rischia di chiudere ogni accesso


www.lagazzettadeglientilocali.it