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Smaltimento rifiuti, da pagare l'Iva sulla Tia

Gli utenti del servizio di smaltimento rifiuti sono tenuti a pagare l’Iva sulla Tia, in quanto viene svolta un’attività che deve essere remunerata con il pagamento di un corrispettivo. Il gestore del servizio, dunque, non è tenuto al rimborso dell’Iva addebitata in fattura e pagata dall’utente. Lo ha affermato il Tribunale di Genova, prima sezione, con la sentenza n. 90612 del 5 gennaio 2013.

Secondo il Tribunale, le somme che l’Amiu di Genova, concessionaria del servizio cittadino di gestione dei rifiuti urbani, incamera per lo smaltimento non deve far perdere di vista che si sta parlando comunque di un’attività di «servizio pubblico» «che ha chiare caratteristiche di imprenditorialità». Per il giudice ordinario, l’interpretazione contenuta nella pronuncia della Corte costituzionale (sentenza 238/2009), secondo cui la Tia1 è parente prossima della Tarsu e quindi partecipa della natura tributaria di quest’ultima, «è indubbiamente suggestiva: ma non decisiva». In realtà, l’attività di raccolta e smaltimento dei rifiuti viene svolta da un imprenditore che gestisce un servizio pubblico, «non diversamente da quanto fanno altri concessionari comunali e pubblici che somministrano beni di non inferiore utilità come ad es. l’acqua potabile o l’energia elettrica: addebitando l’Iva sulle loro prestazioni e cessioni». La sentenza del Tribunale di Genova si discosta dall’orientamento giurisprudenziale che, allineandosi alla pronuncia della Consulta, ha riconosciuto alla Tia1 la natura di tributo. Quindi, non soggetta all’Iva. Con le sentenze 2320 e 3756/2012 la Cassazione ha ritenuto del tutto infondata la tesi sostenuta dall’Agenzia delle entrate, che ha qualificato l’entrata comunale un corrispettivo e ha dato indicazioni ai comuni di applicare l’Iva su Tia1 e Tia2 e, per l’effetto, di non rimborsare i contribuenti per quanto hanno pagato negli anni precedenti alla sentenza della Corte costituzionale. Peraltro, considerata la sua natura tributaria, la Tia1 non può essere riscossa con fatture o bollette, come se fosse un corrispettivo. Sempre la Cassazione, con la sentenza 17526/2007, ha infatti stabilito che l’atto con cui viene richiesto il pagamento al contribuente è, a tutti gli effetti, un provvedimento amministrativo che deve avere i requisiti di validità richiesti dalla legge. È necessario, inoltre, che il destinatario sia posto in condizione di conoscere quanto richiesto e il titolo che lo giustifica.


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