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Il prelievo vira verso il modello francese
Il presupposto dell’imposta oltre alla proprietà dell’immobile guarda anche al suo utilizzo

Un’imposta simile a quella che si applica in Germania e in Spagna ma che presto somiglierà di più al modello francese. È questo l’identikit della nuova Imu, alla luce delle modifiche veicolate dal decreto legge approvato il 28 agosto dal Consiglio dei ministri, messa a confronto con il prelievo sugli immobili operativo nei Paesi europei.

L’imposta italiana, infatti, per sua natura, è nata con forti similitudini con le imposizioni dei Paesi europei, come Germania e Spagna, il cui presupposto si fonda principalmente sulla proprietà immobiliare più che sulla sua disponibilità, anche ad altro titolo, come invece accade in Francia con la taxe d’habitation o in Gran Bretagna con la Council tax, pagate anche dai locatari degli immobili.

In particolare, l’Imu è un’imposta patrimoniale immobiliare che, diversamente da quanto accade in altri Paesi, come la Francia o l’Olanda, non si cumula, per le persone fisiche, ad altre forme di prelievo sul patrimonio complessivamente inteso. Per le imprese e i professionisti – come accadeva per l’Ici, da cui l’Imu deriva – l’imposta è indeducibile; al contrario, nei Paesi europei esaminati, il prelievo immobiliare è considerato relativo alla produzione del reddito e, come tale, onere deducibile.

La riforma dell’imposizione immobiliare, delineata nel decreto legge e da attuare con la prossima legge di stabilità, presenta delle importanti analogie con il sistema francese. In Francia, infatti, la tassazione immobiliare è articolata nelle seguenti due tasse: la taxe d’habitation e la taxe foncière, entrambe basate sui valori catastali, ma la prima – più elevata – è a carico di chi abita l’immobile (proprietario o inquilino che sia), mentre la seconda è a carico di chi ha dritti reali su di esso. In Inghilterra la Council tax è versata da chi abita l’immobile (non importa se proprietario o inquilino in locazione), mentre in Germania e in Spagna la Grundsteuer e l’Impuesto sobre bienes inmuebles (Ibi), rispettivamente, hanno come presupposto il possesso di diritti reali sull’immobile (e sono quindi a carico del proprietario), ma costituiscono spesso oggetto di riaddebito all’inquilino in locazione.

L’evoluzione dell’Imu verso la service tax, con un conseguente e auspicabile riordino delle tasse che direttamente o indirettamente gravano il possesso di un immobile (una per tutte la Tares), non dovrebbe prescindere da una rivisitazione del sistema anche alla luce delle esperienze maturate all’estero in questi anni con riferimento alla medesima forma d’imposizione.

In questo caso, per garantire attraverso la service tax un efficace strumento di finanza anche a livello locale, occorrerebbe agire sul sistema di computo dell’imposta rendendolo flessibile e adeguato, in funzione delle diverse situazioni sia personali (ad esempio, categorie disagiate) sia oggettive dell’immobile. E sarebbe necessario superare i parametri a cui oggi il sistema è vincolato, spesso fuori mercato in uno scenario immobiliare ancora in crisi (a provare l’iniquità del sistema basato su valori catastali non allineati a quelli reali c’è il crescente contenzioso in Spagna, Germania e Gran Bretagna), e abbandonare definitivamente i presupposti e soprattutto i limiti della vecchia Ici. Infine, occorrerebbe prevedere la deducibilità dell’imposta per avvicinare il sistema italiano alla prassi europea.

 


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