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Bus e metro, tariffe più alte emeno fondi
Ancora aumenti dei biglietti (+64% in dodici anni) - Risorse statali tagliate del 23% rispetto al 2010

Dal 2002 il costo medio del biglietto urbano di autobus, tram e metropolitane è cresciuto del 64%, quasi tre volte l’inflazione del periodo. Dal 2010 al 2013, però, il trasporto locale ha perso il 23% delle risorse, proprio mentre aumentava di quasi un terzo l’utenza, spinta a lasciar fermi i mezzi privati per il caro-benzina e la crisi dei consumi. Gran parte degli aumenti, da Milano a Bologna, da Treviso a Brindisi, sono dell’ultimo anno, e tante città stanno ancora mettendo in cantiere nuovi interventi. Netti e Trovati u pagina 2 A Milano il dibattito ha animato le file interminabili che la scorsa settimana si sono snodate davanti agli Atm point, alle prese con gli aumenti di prezzo degli abbonamenti a tram e metropolitane e con gli utenti all’affannosa ricerca di spiegazioni. Ma la questione non è solo ambrosiana: con la benzina che veleggia ormai abitualmente nei dintorni dei due euro al litro e i problemi occupazionali che tagliano i bilanci delle famiglie, ovunque bus, tram e metropolitane fanno comodo anche a molte persone che prima li snobbavano. I costi di biglietti e abbonamenti però aumentano e, quel che è peggio, spesso si paga di più non per finanziare ampliamenti dell’offerta, ma per cercare di mantenere in vita reti più fragili, percorse da mezzi sempre più vecchi.

Qualche numero aiuta a capire il fenomeno alla base della pioggia di aumenti che fa arrabbiare i passeggeri di tante città. Nel 2009, secondo l’osservatorio Isfort sulla mobilità, l’11,6% degli italiani in movimento saliva su un bus o una metropolitana, l’80,8% si chiudeva in auto e il 7,5% si metteva in sella a moto o motorini. Tre anni dopo, le due ruote hanno perso il 30% dei propri utilizzatori, l’auto privata è scesa di un punto percentuale abbondante e i mezzi pubblici hanno visto crescere la loro quota di un terzo, coprendo il 15% degli spostamenti complessivi.

Una mezza rivoluzione. Accompagnata però da una dinamica opposta all’interno dei conti pubblici. L’ultima legge di stabilità ha radunato nel Fondo nazionale trasporti le vecchie risorse che prima erano disperse in più rivoli, e che quindi rischiavano di sfuggire ai controlli e di essere sottoposte alle sforbiciate improvvise che spesso nascono per finanziare le esigenze del bilancio pubblico: un’ottima idea ma, secondo i dati elaborati dall’Asstra (l’associazione che riunisce le società del Tpl) nel ridisegno si è perso per strada parecchio: nel 2010 il settore poteva contare su 6,4 miliardi, quest’anno invece la dote si ferma a 4,92, cioè il 23% abbondante in meno. Inevitabile, in questo quadro, rivolgersi sempre più spesso ai passeggeri mettendo loro in mano un biglietto più pesante. Negli ultimi dodici anni i biglietti sono aumentari in media del 64% (2,5 volte l’inflazione del periodo), mentre gli abbonamenti sono stati più tutelati e hanno registrato un incremento di prezzo medio del 29%, poco superiore al costo della vita.

Da noi, però, il finanziamento del trasporto pubblico è come un grande domino, con risultati diversi a seconda delle variabili locali. Una tessera fondamentale è quella delle Regioni, che possono intervenire a compensare i tagli statali, ma naturalmente solo quando il bilancio lo permette. Si spiegano così le differenze fra i territori, che già nel 2010-2012 hanno visto scendere le risorse del 27% in Campania, del del 23,5% nel Lazio, del 9% in Piemonte e dell’8% in Lombardia, mentre altre realtà come Emilia Romagna o Umbria sono riuscite per il momento a contenere i danni. Anche all’interno della stessa Regione, poi, la situazione non è omogenea, perché le valutazioni basate sulle performance medie finiscono per penalizzare le aziende più efficienti. Ma nel domino del trasporto i problemi non finiscono mai. Per capirlo si può fare un salto proprio in Piemonte, dove i 1.073 piccoli Comuni sparsi su un territorio secondo per superficie solo alla Sicilia hanno un bisogno vitale di collegamenti locali che spesso non garantiscono business, e quindi si reggono sulle compensazioni garantite dai fondi pubblici. Un tempo ci pensavano le ferrovie, ma la potatura dei “rami secchi” negli anni ha moltiplicato il ruolo di supplenza delle autolinee. I bilanci della Regione, però, sono in crisi nera, dopo mesi di trasferimenti (e stipendi ai dipendenti delle società) a singhiozzo si sta sciogliendo il nodo degli arretrati, ma i tagli restano e con loro le incognite sul futuro prossimo.

Con questi taglia e cuci, non è una sorpresa il peggioramento netto dei bilanci del trasporto pubblico, che in due anni ha visto aumentare del 28% le aziende con i consuntivi chiusi in perdita. Un’epidemia, quella del rosso nei conti, che non risparmia le grandi città: a Milano Atm ha in passato staccato dividendi importanti al Comune, e anche il 2012 si è chiuso con un utile da 4,4 milioni, e anche a Torino il conto economico è in positivo ma Palazzo di Città riprova la strada della privatizzazione anche per dare ossigeno ai bilanci comunali. A Roma, invece, l’Atac ha perso oltre 700 milioni in tre anni (157 nel 2012) mentre la napoletana Anm (dati 2011) la perdita è stata di 27 milioni e il problema principale è dato dai crediti incagliati vantati nei confronti del Comune (250 milioni): perché nel domino dei trasporti anche le crisi dei municipi ricadono sulle aziende.

 


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