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Amministrazioni obbligate al piano anticorruzione
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Con il disco verde acceso ieri dalla Civit al Piano nazionale anticorruzione messo a punto da palazzo Vidoni il cantiere di attuazione della legge 190/2012 entra nel vivo. Manca solo, a livello centrale, l’ultimo passaggio, con la nomina del commissario nazionale anticorruzione, che prenderà il posto dell’attuale presidente della Civit. Sul nome del candidato finora sono circolate solo ipotesi, la più accreditata delle quali indica come possibile la scelta dell’ex presidente della Corte dei conti, Luigi Giampaolino. Si vedrà. La nomina non potrà comunque arrivare subito, visto che dev’essere effettuata entro trenta giorni dalla conversione del Dl 101/2013 (riordino Pa e pubblico impiego) il cui esame al Senato è appena iniziato. Saranno i ministri della Pa e la Semplificazione, il Guardasigilli e il titolare dell’Interno a indicare il nome del commissario al Consiglio dei ministri e l’iter di nomina, proprio per garantire la massima garanzia e indipendenza, prevede l’approvazione con una maggioranza dei due terzi della Commissioni Affari costituzionali. Vale ricordare in questo contesto che il Dl 101 ha anche confermato in capo alla Civit il ruolo di authority nazionale per la trasperanza nella Pa, oltreché per l’anticorruzione, mentre la valutazione delle performance dei dipendenti è stata trasferita all’Aran.

Tornando al Piano nazionale anticorruzione e in attesa della nomina del commissario, tutte le amministrazioni centrali e periferiche dovranno nel frattempo muoversi nell’adozione delle iniziative previste, a partire dall’individuazione di un responsabile anticorruzione tra i dirigenti apicali (potrebbe essere anche il segretario generale nei Comuni) e il varo del piano triennale di prevenzione della corruzione. Finora hanno già fatto il primo passo circa 2mila amministrazioni in tutto il Paese, mentre nei target strategici indicati nel piano si prevede che tutte le amministrazioni abbiamo assolto al secondo obbligo entro il giugno del 2014.

Tra i cosiddetti «contenuti minimi» che devono essere garantiti nei piani triennali di prevenzione delle amministrazioni spiccano, tra gli altri, l’individuazione delle attività più esposte al rischio di corruzione, come quelle citate nella stessa legge 190: le autorizzazioni o concessioni; la scelta del contraente nell’affidamento di lavori, forniture e servizi; la concessione ed erogazione di sovvenzioni, contributi, sussidi, ausili finanziari; i concorsi per l’assunzione del personale.

Devono essere poi adottati specifici sistemi di rotazione del personale addetto alle aree a rischio, misure per assicurare l’adeguata tutela dei cosiddetti whistleblowers, ovvero i dipendenti che effettuano segnalazioni di illeciti, obblighi di astensione in caso di conflitto di interesse dei dirigenti e discipline specifiche in materia di conferimento di incarichi dirigenziali in caso di particolari attività o incarichi precedentemente ricoperti, per evitare fenomeni di pantouflage-revolving doors, come aveva chiesto l’Ocse nel documento dello scorso aprile in cui elogiava il vecchio Governo per l’adozione della legge 190 e lo incoraggiava a una sua efficace implementazione.

I piani triennali, su cui è previsto il monitoraggio centrale, dovranno prevedere anche concreti e verificabili programmi di formazione in materia di etica, integrità e altre tematiche attinenti alla prevenzione della corruzione.


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