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Il Sole delle Alpi costa caro al comune di Adro

L’apposizione del simbolo leghista del «Sole delle Alpi» sulle vetrate e all’ingresso della scuola di Adro, costa cara alla giunta locale che, nel 2010, decise di tappezzarne l’intero plesso scolastico, nonostante le rimostranze e le lamentele della comunità locale prima e dell’opinione pubblica nazionale successivamente.

Dovranno pertanto mettere mano al portafogli, per un importo di poco superiore a 10 mila euro, gli amministratori leghisti del comune bresciano per aver deliberato non tanto l’apposizione del simbolo, quanto piuttosto per aver deciso di resistere in giudizio innanzi al giudice del lavoro, interpellato sul punto da una sigla sindacale rappresentativa dei lavoratori del plesso scolastico con un dettagliato esposto. Giudizio che si concluse con la soccombenza dell’amministrazione comunale e l’addebito del pagamento delle spese processuali.

Così ha deciso la sezione giurisdizionale della Corte dei conti Lombardia, nel testo della sentenza n.222 depositata lo scorso 18 settembre che, nel ripercorrere la vicenda che tanto scalpore destò in quei giorni del 2010, ha stigmatizzato l’operato della giunta comunale, «insensibile ai richiami della comunità locale che non attribuiva al simbolo di cui sopra alcuna valenza di identità culturale, ma solamente un significato di appartenenza politica». Questi richiami, cui la giunta si mostrò sorda, dovevano costituire per gli amministratori «un doveroso terreno di riflessione e di verifica, circa l’effettiva rispondenza delle proprie scelte al comune sentire della collettività», ancor prima che le diverse autorità, anche a livello centrale, si esprimessero per invitare gli organi competenti alla rimozione.Non essendo avvenuto alcun ravvedimento, la Corte lombarda ha rimarcato sulla condotta degli amministratori che, al contrario, hanno pervicacemente mantenuto la loro posizione violando i propri obblighi di servizio e, in particolare, l’onere di rappresentare l’intera collettività che li ha eletti e il dovere di improntare il proprio comportamento all’imparzialità e alla correttezza. Un’amministrazione corretta, rileva la Corte, è quella che si mostra imparziale, non solo nelle scelte compiute, ma anche in quelle dove l’intera comunità possa riconoscersi nei suoi rappresentanti politici.

Ne è prova che il Viminale, interpellato sul punto ha rilevato che il sindaco rappresenta tutti i cittadini, non solo gli elettori appartenenti alla sua compagine politica e che i soli segni distintivi di un comune, sono lo stemma e il gonfalone, non certo altri simboli «fuorvianti dell’identità collettiva». La decisione di condanna, poi, appare evidente anche sotto un altro profilo. Ovvero quello della violazione dell’obbligo di rispettare il principio di economicità dell’azione, l’obbligo di verificare i costi di un’azione amministrativa e i risultati che si intendono raggiungere. Nessuno degli amministratori ha minimamente valutato il rischio (concreto) di una possibile soccombenza in giudizio, percorrendo invece la strada della resistenza innanzi al giudice per sottrarsi agli obblighi di rimuovere il simbolo contestato.


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