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All'amministratore unico il 70% del compenso del sindaco
Partecipate. Da accertare la compatibilità con la carica di Dg

La definizione dei compensi degli amministratori di società e organismi partecipati continua a suscitare dubbi, ed è uno dei temi su cui più spesso si chiede un parere alla Corte dei conti. In questi giorni sono state depositate due deliberazioni in argomento.

In Liguria
La prima è la 70/2013, della sezione regionale di controllo per la Liguria, che prende le mosse da uno dei cambiamenti in atto nella governance delle società partecipate, quella del passaggio da Cda ad amministratore unico. Anzitutto, la sezione Liguria sostiene che all’amministratore unico si può applicare il tetto del 70% e non quello del 60% che riguarda i membri del Cda: in termini equitativi la Corte opta per il limite maggiore, in ragione del ruolo. Il Comune, ancora, domanda se il computo va fatto rispetto al compenso teorico del sindaco o a quello effettivo: per la Corte il calcolo è da fare sul “teorico”, perché il fine della norma è quello di ancorare le indennità «al rispetto di precisi limiti determinabili secondo criteri obiettivi ed applicabili uniformemente».
Altro quesito: il tetto al compenso riguarda l’intero organo o i singoli soggetti? In caso di amministratore unico, a costui può essere attribuita un’indennità superiore al 70 per cento, fino al limite di quanto spettante ad un Cda di tre persone? La sezione si allinea alle delibere 84/2012 della Calabria e 11/2012 dell’Emilia Romagna, per affermare che il tetto è soggettivo e individuale, non collettivo, e che, quindi, questa strada non è percorribile. La Corte precisa che già con l’articolo 4 della spending review, nel caso di Cda a tre, il compenso che fuoriesce dal perimetro della Pa è solo uno.

In Lombardia
Il parere 386/2013 della sezione di controllo per la Lombardia tocca invece il tema con riferimento alle aziende speciali. Si chiede se è possibile attribuire un compenso all’amministratore unico di un’azienda e se l’amministratore unico può essere nominato anche direttore generale (Dg). In merito al primo punto la sezione ribadisce l’onorificità della carica che, ai sensi dell’articolo 6, comma 2, del Dl 78/2010, è gratuita. Invece, per quanto riguarda la nomina anche a direttore generale, la Corte osserva che a carico delle aziende speciali insistono i vincoli di cui al comma 5-bis dell’articolo 114 del Tuel, che estende a tali enti «le disposizioni che stabiliscono, a carico degli enti locali: divieto o limitazioni alle assunzioni di personale; contenimento degli oneri contrattuali e delle altre voci di natura retributiva o indennitaria e per consulenza anche degli amministratori» (restano escluse le aziende speciali di servizi socio-assistenziali ed educativi, scolastici e per l’infanzia, culturali, e le farmacie).
La Corte, dunque, non rileva un divieto nella nomina a direttore generale dell’amministratore, bensì la necessità, ai sensi del Tuel, di rispettare i vincoli assunzionali che riguardano l’organismo al pari dell’ente controllante. I dubbi possono però riguardare le previsioni del Dlgs 39/2013, per il caso sia di un’azienda speciale sia di una società. L’articolo 7, al comma 2, lettere c e d, del Dlgs 39/2013, parla di inconferibilità a coloro che «siano stati» amministratore, e non a soggetti in carica. Il conferimento dell’incarico di direttore generale è perciò legittimo. Semmai, tale nomina può rientrare nelle incompatibilità tra incarichi dirigenziali e l’assunzione e il mantenimento della carica di amministratore ai sensi dell’articolo 12 del Dlgs 39/2013. Per quest’ultimo decreto, il direttore generale riveste un «incarico amministrativo di vertice» e non dirigenziale.
Pertanto, la coesistenza in un unico soggetto dei due ruoli è ammissibile solo se quello di direttore generale non ha natura dirigenziale: andrà, quindi, valutato caso per caso se non sussiste una incompatibilità.


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