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Privatizzazioni per modo di dire
Gli immobili pubblici invendibili passano solo da una mano all'altra dello stesso Stato

A volte, sia pur di rado, tanto Enrico Letta quanto Fabrizio Saccomanni tirano fuori del cappello le privatizzazioni. Di fatto, poco si vede, per non dire nulla. Se il Pd non si fa mai udire al riguardo, non si può sostenere che Sc e il Pdl facciano dell’argomento un proprio cavallo di battaglia. Rimane un mistero come si possa credere di uscire dalla crisi economica senza affrontare di petto l’abbandono dell’economia da parte della mano pubblica.Attenzione: il problema non investe soltanto le partecipazioni dello Stato, ma an-che, per non dire soprattutto, la miriade di società, agenzie, ex municipalizzate, consorzi et similia che infestano la politica regionale, provinciale e comunale. Quel che è peggio è che si cerchi di far passare come fuoriuscita dal pubblico le operazioni che assegnano alla Cassa depositi e prestiti la funzione di acquisire immobili, società, spezzoni di quelle che una volta si chiamavano partecipazioni statali. La Cdp ha, per i politici di ogni colore, il pregio di risultare estranea al dominio statale, ma ciò soltanto in ottemperanza a disposizioni europee di dubbio realismo, che certo investono pure altri simili enti di là delle Alpi (come ricorrentemente rimarcava Giulio Tremonti). Resta da capire come possa una spa controllata per oltre i quattro quindi dal ministero dell’Economia considerarsi esterna al perimetro dello Stato. Quindi, ogni alienazione verso la Cassa non privatizza, di fatto, un bel nulla. Semplicemente, evita di far apparire pubblico ai fini europei un segmento economico che continua, in buona sostanza, a restare pubblico, posto che il dicastero dell’Economia non è certo un privato investitore. Che un immobile sia statale o sia della Cdp nulla muta, nei fatti: sempre statale resta, sia pure con etichetta cambiata.Identicamente va svolto il discorso sui tentativi di addossare una parte dell’Alitalia alla stessa Cdp, in nome dei finanziamenti sulle infrastrutture. Sarebbero sempre esborsi pubblici. Identica considerazione va attuata se a intervenire fosse diretta-mente il Tesoro. Nulla cambierebbe nel caso pagassero le Ferrovie, che non a caso sono «dello Stato italiane». In questo marasma di conservazione della presenza pubblica stupisce il silenzio di Fi, all’evidenza lontana mille miglia dal programma liberale del ’94. Siamo e continuiamo a permanere nello statalismo, con i costi che esso reca. E dai berlusconiani nulla si sente.


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