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Tasse e burocrazia,macigni sui conti
Il 40% delle imprese sotto i 50 dipendenti teme la chiusura, considerata «probabile» o «certa»

Una piccola o piccolissima impresa italiana su sei pensa di scomparire nei prossimi due anni e un altro 23,6% considera «probabile» questa prospettiva: solo il 36% delle aziende fino a 50 dipendenti, invece, alla domanda sul futuro prossimo offre la risposta che sarebbe scontata in tempi normali: «Fra due anni ci saremo». Colpa della crisi? Fino a un certo punto, perché l’epidemia che sta colpendo l’imprenditorialità diffusa di casa nostra è quella del Fisco locale, con i suoi virus storici come l’Irap che si uniscono alle mutazioni recenti di Imu, Tares e via siglando.

Basta questo dato a trasformare il Rapporto annuale su «Imprese e burocrazia» condotto dalla Fondazione PromoPa con il sostegno delle Camere di commercio, che sarà distribuito domani all’assemblea di Unioncamere Lombardia a Lecco, in un appello finale alla politica: «Per rimettere in moto la crescita bisogna da un nuovo patto con il sistema delle imprese – chiarisce Carlo Sangalli, presidente di Confcommercio – per combattere illegalità diffusa, fisco oneroso e cattiva burocrazia».

Come spiega il titolo del Rapporto, l’iniziativa è nata otto anni fa per misurare sul campo gli effetti delle sempre incerte semplificazioni italiane, ma l’emergenza fiscale e normativa che ha investito il nostro sistema economico ha portato l’indagine ad allargare i propri orizzonti sui colpi più duri inferti dall’evoluzione delle regole del gioco. Intendiamoci, la burocrazia resta un macigno, i «voti» delle imprese nei confronti della burocrazia restano ancorati al 4, che in una scala da 1 a 10 significa bocciatura senza appello, la valutazione sulla qualità dei servizi è in discesa e le giornate/uomo dedicate alle carte bollate salgono a 30,2 per ogni anno, a cui si aggiungono 4.440 euro (+3,3% rispetto al 2012) pagati in media ogni anno per i professionisti esterni indispensabili a districarsi nei labirinti degli adempimenti: in tutto, tra costi interni ed esterni, la burocrazia costa alle piccole e piccolissime imprese il 7,6% del fatturato: poi arrivano le tasse.

Il focus dell’indagine si è spostato qui perché il doppio colpo di tasse e burocrazia rischia di ipotecare il futuro: «Questo settore – spiega Gaetano Scognamiglio, presidente della fondazione PromoPa – è di fatto l’incubatore di qualsiasi impresa di successo, ma se anche l’idea iniziale è oppressa da adempimenti pensati per le aziende medio-grandi non potrà mai esprimere le proprie potenzialità».

Anche sul Fisco, un numero basta a misurare il problema: le tasse degli enti territoriali assorbono il 13,8% del fatturato, e sono in netta crescita rispetto all’anno scorso. Una dinamica inevitabile perché all’Irap, che in tempi di crisi accentua le proprie storture con cui pesa anche sulle imprese in perdita, l’arrivo dell’Imu è stato caratterizzato da un incremento monstre delle basi imponibili, che proprio nel caso delle imprese si è replicato quest’anno. Su questo terreno già accidentato ha debuttato la Tares, che ha scaraventato il proprio carico soprattutto sulle piccole imprese commerciali. Risultato: il 21% delle richieste di credito, sempre più difficile da ottenere, servono a pagare le tasse, e solo nel 43% la richiesta è finalizzata a nuovi investimenti. Se questa è l’evoluzione, anche le misure che hanno provato a dare una mano alle imprese si sono finora risolte in un aiuto momentaneo e parziale, lontanissimo dall’intervenire sulle ragioni strutturali dei problemi. È accaduto così, per esempio, con il decreto «sblocca-debiti» della Pa, che ha limato l’arretrato medio delle piccole imprese fornitrici degli uffici pubblici (si attesta nel 2013 a 46.829 euro) ma paradossalmente, concentrando lo sforzo sugli arretrati, ha allungato i tempi d’attesa medi per i “nuovi” pagamenti (da 196,4 a 205,1 giorni). Stessa sorte anche per le riforme “di sistema”, a partire dalla legge Fornero sul lavoro, che nel giudizio unanime delle imprese si è rivelata «prociclica», cioè ha accentuato la tendenza a frenare le assunzioni per i nuovi fattori di rigidità in entrata.


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