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Abitazione principale, il conto non è ancora chiuso

Imu Servono 500 milioni per coprire gli aumenti comunali delle aliquote, altrimenti il rischio è sulle spalle dei proprietari

Si potrebbe ricorrere al titolo di un celebre romanzo di Chandler, «Il lungo addio», per descrivere l’infinita vicenda dell’abolizione dell’Imu sull’abitazione principale. L’ultimo colpo di scena sarebbe il contenuto della bozza allo studio del Governo, che domani dovrebbe chiudere la questione: nei Comuni che hanno deliberato un aumento – nelle loro intenzioni virtuale – delle aliquote sull’abitazione principale la differenza tra il tributo che si pagherebbe con la nuova aliquota e quello pagato lo scorso anno sarebbe a carico dei contribuenti.

Si tratta solo di un’ipotesi che se si traducesse in una norma creerebbe forti problemi alla maggioranza, vale però la pena di spiegare i termini della questione. L’Imu sull’abitazione principale lo scorso anno ha reso alle casse dei Comuni poco più di 4 miliardi di euro, e il governo avrebbe voluto disporre trasferimenti ai municipi per la stessa cifra. Ma quest’anno la situazione di molte casse comunali è peggiorate e le amministrazioni in qualche caso hanno scelto di aumentare formalmente le aliquote dell’Imu sull’abitazione principale: lo potevano fare perché l’Imu sulle prime case non è stata abolita. Ad esempio Milano ha portato il prelievo dallo 0,4 allo 0,6%. Lo scopo di queste amministrazioni era quello di ottenere più trasferimenti dallo Stato senza pagare pegno elettorale. Il costo per l’Erario degli aumenti di aliquota è stimabile nell’ordine del mezzo miliardo di euro, che oltretutto andrebbero ad aggiungersi ai circa 350 milioni necessari per abrogare l’Imu sui terreni agricoli.

Di qui l’idea di far pagare il costo ai contribuenti. A Milano, il conto sarebbe salato, come vediamo nella tabella che abbiamo ricavato adottando i valori medi catastali delle abitazioni nella categorie A/2, A/3 e A/4. Su un immobile di categoria A/2, per esempio, l’integrazione costerebbe poco meno di 500 euro e ne servirebbero 217 per la A/3. Se si scegliesse questa strada inoltre i proprietari di abitazioni di minor valore catastale si troverebbero nella situazione paradossale di dover far fronte a dicembre a un’imposta superiore a quella complessivamente pagata nel 2012, perché sulla maggiorazione dell’aliquota non ci sono detrazioni.

Un immobile del valore catastale di 450 euro lo scorso anno a Milano ha pagato 102 euro mentre per l’integrazione ne servirebbero 132.

Più limitato l’impatto nelle città che come Napoli sono arrivate quest’anno allo 0,6% partendo però dallo 0,5%: l’esborso per un immobile a/2 sarebbe di 156 euro, quello per una A/3 di 85. Il decreto di domani dovrà chiarire anche altri aspetti: i Caf stanno chiedendo lo slittamento dei termini e non si può negare che dalla loro hanno buone ragioni; i Comuni hanno tempo per rendere pubbliche le loro delibere fino al 9 dicembre, cinque giorni lavorativi prima del termine per il saldo mentre lo Statuto del contribuente (articolo 3 comma 2) dice che non possono essere previsti adempimenti a carico dei contribuenti con meno di 60 giorni di tempo per provvedervi.


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