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Da Imu a Tasi il piatto piange
Studio Ifel certifica le preoccupazioni dei sindaci. Verso l'accordo sulla mini-Imu

Sul passaggio dall’Imu alla Tassa sui servizi locali (Tasi) i conti per i comuni non tornano. A certificarlo (dopo i dubbi sollevati dal servizio studi della camera, si veda ItaliaOggi di ieri) è uno studio dell’Ifel, la Fondazione per la finanza locale dell’Anci. Per garantire l’applicazione delle stesse detrazioni previste dall’Imu (che consentivano ad almeno il 30% delle abitazioni principali, quelle con rendita catastale inferiore a 370 euro, di non pagare nulla) servirebbero almeno 1,2 miliardi (un miliardo per la detrazione base e 200 milioni per gli sconti per i figli a carico). E invece la legge di stabilità garantisce solo 500 milioni ai sindaci.

Inoltre, i margini di manovra sulle aliquote sono ridottissimi sia sull’abitazione principale che sugli altri immobili. I comuni che hanno spinto l’Imu prima casa oltre il 5,3 per mille (sono 257, di cui 20 capoluoghi di provincia, pari a 8,1 milioni di abitanti) avranno le mani legate e non potranno disporre di sufficiente leva fiscale per vedere garantite le stesse risorse del 2013. Poiché, aggiugendo all’aliquota Imu 2013 quella base della Tasi (1 per mille) sforerebbero il tetto del 6 per mille che costituisce l’aliquota massima che la nuova Tasi non può superare per la prima casa. Tanto più che per il 2014 si prevede che la soglia massima per l’abitazione principale non possa essere superiore al 2,5 per mille. Quanto alle seconde case, i comuni potranno applicare l’1 per mille della Tasi solo se hanno deliberato un’aliquota non superiore al 9,6 per mille.

Perché, in caso contrario, sforerebbero anche in questo caso la barriera impositiva prevista per questa tipologia abitativa che è il 10,6 per mille. Questo significa che in 992 comuni (di cui 55 capoluoghi di provincia) pari a 22 milioni di abitanti, in cui l’Imu sulle seconde case è già al 10,6 per mille, la Tasi dovrà essere zero. L’effetto combinato di questi ristretti ambiti di manovra porta ad affermare che i comuni che hanno portato l’aliquota Imu prima casa oltre il 5 per mille e hanno l’aliquota altri immobili vicina al 10,6 per mille perderanno risorse rispetto al 2013. Si tratta di 262 enti pari a 8,4 milioni di abitanti. Mentre conserveranno gli introiti 2013 solo i comuni che hanno fissato l’aliquota prima casa entro il 5 per mille e quella sulle seconde case non oltre il 9,6 per mille.

Non è questo il caso di comuni come Palermo, Bologna, Genova, Napoli, Roma, Torino, Messina che col passaggio da Imu a Tasi, per non perdere risorse rispetto al 2013, dovrebbero spingere la tassa sui servizi indivisibili oltre il tetto del 2,5 per mille. E in alcuni casi (Milano, Catania e Brescia) anche oltre il 4 per mille. Solo quattro grandi città (Bari, Firenze, Reggio Calabria e Venezia) avrebbero margini di manovra sulle aliquote, ancorché molto ristretti (potrebbero restare tra il 2 e il 2,3 per mille), mentre solo una (Cagliari) potrebbe fissare la Tasi all’uno per mille e non perderci grazie al fatto che nel capoluogo sardo l’aliquota Imu sulle seconde case è al 9,6 per mille. I calcoli dell’Ifel corroborano le richieste dell’Anci che batte cassa non solo sulla service tax, ma anche sulla querelle della cosiddetta mini-Imu. Il supplemento di imposta, che i contribuenti (nei comuni dove l’Imu prima casa è cresciuta in questi anni rispetto all’aliquota base del 4 per mille) dovrebbero pagare entro il 16 gennaio versando il 40 della differenza, va evitato a tutti costi. Su questo sono tutti d’accordo. I sindaci in primis, ma anche il parlamento chiamato a risolvere il pasticcio nella legge di stabilità o nel corso della conversione in legge del decreto (n.133/2013) che ha abolito la seconda rata dell’Imu 2013 (per molti ma non per tutti).

«Parliamo di circa 350 milioni che non rappresenteranno una cifra insormontabile ma senza i quali si rischia di compromettere il rapporto di trasparenza tra istituzioni e cittadini», ha dichiarato il presidente dell’Anci Piero Fassino al termine dell’Ufficio di presidenza. Mentre il sindaco di Milano Giuliano Pisapia ha assicurato l’impegno dei sindaci in cui dovrebbe scattare la mini-Imu «affinché i cittadini non paghino alcunché». «Si tratta di una decisione del governo, di cui il governo stesso deve assumersi tutte le conseguenze», ha osservato il primo cittadino milanese.

Dal parlamento arrivano segnali incoraggianti. I relatori al ddl di conversione del decreto, i senatori Federico Fornaro (Pd) e Andrea Olivero (Scelta civica) hanno assicurato che «si farà tutto il possibile» per evitare il pagamento della mini-rata Imu a gennaio. Secondo Fornaro, se resta l’adempimento «si rischia di creare solo allarmismo», e per spiegarlo cita due casi limite, entrambi riguardanti pagamenti di modico valore che possono costituire la media degli importi da versare in concreto soprattutto nei piccoli comuni. Chi deve versare 13 euro, per esempio, «rischia di pagare più per la parcella del professionista che per l’Imu».

Ma cosa accadrebbe in un ente se la gran parte degli importi a carico dei contribuenti fosse inferiore alla no tax area di 12 euro?

Nessuno pagherebbe nulla, ma i municipi «perderebbero tante piccole somme che comunque possono pesare». Anche queste considerazioni di buon senso starebbero dunque orientando il governo a più miti consigli. Tanto che il ministero dell’economia avrebbe già iniziato ad esaminare la questione in una riunione svoltasi ieri alla presenza del viceministro Luigi Casero.


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