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Convenzioni, bonus a ostacoli
La legge di stabilità alleggerisce il Patto, ma mantiene invariato il saldo di comparto

Rischia di essere ingestibile il meccanismo previsto dalla legge di stabilità per stabilizzare gli effetti negativi sul patto connessi alla gestione di funzioni e servizi in forma associata mediante convenzione. La relativa disciplina è contenuta nell’art. 1, comma 534, della legge 147/2013, che ha inserito un nuovo comma 6-bis all’art. 31 della legge 183/2011. Esso prevede la riduzione degli obiettivi dei comuni capofila e il corrispondente aumento di quelli degli altri comuni associati. Tale rimodulazione sarà disposta dal Mef sulla base delle informazioni fornite dagli stessi comuni tramite l’Anci. Quest’ultima, infatti, entro il 30 marzo di ciascun anno, dovrà comunicare a via XX Settembre, mediante il sistema web «http://pattostabilitainterno. tesoro.it» della Ragioneria generale dello stato, gli importi in riduzione e in aumento degli obiettivi di ciascun ente, sulla base delle istanze prodotte dai comuni entro il 15 marzo. La finalità della norma è pienamente condivisibile: i comuni capofila di convenzioni, infatti, sostengono spese anche per gli altri municipi convenzionati, con conseguente appesantimento dei propri obiettivi di Patto. Questi ultimi, come noto, sono calcolati partendo dalla media degli impegni di spesa corrente registrati in un triennio che la stessa 1 147 ha stabilito sia il 2009-2011 (fino allo scorso anno, il riferimento era al 2007-2009 e in precedenza al 2006-2008). A tal fine, occorre considerare la spesa lorda registrata nei conti consuntivi, senza alcuna esclusione. In particolare, la circolare n. 5/2013 della Rgs ha chiarito che «dalle spese sostenute dall’ente capofila non è esclusa la quota di spesa gestita per conto degli altri enti locali». Anziché correggere «a monte» questa stortura, consentendo di sterilizzare la spesa sostenuta «per conto terzi», è stato introdotto un correttivo «a valle». Il motivo è evidente e non risiede nell’esigenza di garantire un controllo centralizzato sulla correttezza dei dati, ma di mantenere invariato il saldo complessivo di comparto. Gli sconti concessi ai capofila, infatti, saranno compensati dagli aggravi imposti agli altri comuni. E qui sta il problema: chi verificherà la correttezza e la coerenza dei dati comunicati dalle singole amministrazioni? Teniamo presente che le convenzioni sono migliaia; la norma, d’altra parte, non si applica solo ai comuni sotto i 5.000 abitanti (soggetti all’obbligo di gestire in forma associata, mediante convenzione o unione, le proprie funzioni fondamentali), ma a tutti i comuni, compresi quelli di dimensioni medie o grandi. Inoltre, i dati da utilizzare non sono immediatamente disponibili, essendo necessario, come detto, spulciare i rendiconti di tre anni per ricavarli. Difficile che l’Anci possa accollarsi una simile incombenza (per di più in soli 15 giorni), anche coinvolgendo le proprie sezioni regionali.

Le convenzioni, inoltre, non sempre sono stabili, ma spesso vengono sciolte o modificate con una certa frequenza: quando ciò accade in corso d’esercizio, non è semplice isolare correttamente le relative quote di spesa e distribuirle fra i diversi enti interessati.

Per tali ragioni, sarebbe preferibile un diverso meccanismo, che operi ex post. Ricordiamo, infatti, che ai fini del bilancio, i comuni capofila sterilizzano la maggiore spesa con le entrata corrispondente ai rimborsi dovuti dagli altri enti in convenzione. Se tali voci fossero evidenziate separatamente anche ai fini Patto, si avrebbero dei dati certi sui quali operare la rimodulazione degli obiettivi e svolgere i necessari controlli.


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