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Immobili comunali poco «valorizzati»
Il patrimonio dei Municipi. La fotografia in un rapporto di Intesa Sanpaolo: su 210 miliardi di beni materiali quelli disponibili non superano i 19

Il rapporto tra i Comuni e i loro immobili resta conflittuale. Pur contando su beni materiali per 210 miliardi gli enti locali fanno fatica a valorizzarli. E invece riuscirci potrebbe aiutarli, da un lato, a contenere la spesa per gli affitti e, dall’altro, a differenziare le fonti di entrata. A sottolinearlo è il finanza locale monitor di Intesa Sanpaolo sul patrimonio immobiliare dei municipi, che diventa doppiamente attuale in tempi di spending review imperante e di federalismo demaniale pendente.

Il rapporto parte dalla dotazione patrimoniale delle amministrazioni comunali. Che in base ai dati 2011 possono contare su 232 miliardi di immobilizzazioni. Di queste, 210 miliardi si riferiscono a beni materiali. Più nel dettaglio 65 miliardi sono beni demaniali, 73 terreni e fabbricati del patrimonio indisponibile e 19 miliardi sono relativi invece a quello disponibile. Con una spiccata sperequazione lungo la penisola. Per i soli fabbricati indisponibili infatti il valore medio passa dai 183 euro per abitante del 10% di comuni meno “dotati” ai 2.325 pro capite del 10% di quelli più “ricchi”. E non sono differenze di poco conto, spiega il monitor, visto che i primi potrebbero colmare il gap attraverso gli immobili in affitto mentre i secondi dimostrerebbero un uso non ottimale delle risorse allocate.

Proprio su questo punto arriva il primo suggerimento del paper di Intesa Sanpaolo: «Una opportuna strategia di space planning – si legge – può trasformare parte del patrimonio indisponibile in patrimonio disponibile e quest’ultimo potrebbe essere destinato ad altri usi e ad altre funzioni in grado di generare proventi». Senza contare – aggiunge – che «la razionalizzazione e ottimizzazione degli spazi porterebbe anche a una riduzione dei costi per la gestione che ad oggi sono rilevanti (circa 2,3 miliardi di euro annui)».

Da qui a parlare di valorizzazione (o meno) del patrimonio disponibile il passo è breve. La capacità dei comuni di generare reddito grazie a terreni e fabbricati viene giudicata «molto bassa». Basti pensare che i proventi della gestione del patrimonio oppure derivanti da locazioni e concessioni ammontano a poco più di 2,1 miliardi, cioè il 18% delle entrate extratributarie. Con tassi di rendimento che dipendono sia dalle dimensioni dell’ente (sono più alti dai 50mila abitanti in su) o dalla sua ubicazione (al Mezzogiorno ci si posiziona su livelli inferiori).

Nel sottolineare come la capacità di ottenere un ritorno prescinda da elementi strutturali, lo studio spiega che rimangano «significativi spazi di miglioramento della capacità di valorizzare il patrimonio pubblico». Tanto più che riuscirci potrebbe sia fornire ai municipi «una possibile e importante fonte di finanziamento per le proprie attività», sia aiutarli ad abbassare la propria spesa corrente. In questo solco s’inserisce l’attuazione del federalismo demaniale, ad esempio con la risposte che l’Agenzia del demanio darà entro il 15 aprile alle 9.367 richieste di trasferimento presentate dagli enti locali. Federalismo demaniale – conclude Intesa Sanpaolo – che potrà dare un vantaggio reale solo se le amministrazioni «riusciranno a gestire e valorizzare il patrimonio nelle modalità più opportune». Ad esempio utilizzando strumenti in grado di fare economie di scala, in primis i fondi di investimento promossi o partecipati dagli enti territoriali.


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