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Tetto di spesa lineare per i contratti su beni e servizi
Decreto Irpef. Gli effetti concreti della nuova spending review

Il decreto legge Irpef porta delle “novità” piuttosto vecchie per gli enti locali. Il problema riguarda prima di tutto il nuovo capitolo della spending review, che in parte riporta gli enti locali ai vecchi tetti di spesa abbandonati dalla Finanziaria del 2007.

La manovra è per circa la metà incentrata sulla riduzione della spesa per servizi (360 milioni di euro). Per ottenere questa riduzione, l’articolo 8, comma 5, lettera a) offre apparentemente una facoltà, ovvero quella di ridurre gli importi dei contratti sui beni e servizi, nella misura del 5 per cento, per tutta la durata residua dei contratti. In questo quadro si conferisce la facoltà «di rinegoziare il contenuto dei contratti»: in pratica, correttamente, non si tratta di uno sconto obbligatorio, ma della possibilità di ridurre i servizi, e si fa salva la possibilità di recesso della controparte.

Alla successiva lettera b), però, si rende chiaro che la riduzione dei servizi, almeno parzialmente, non è una facoltà, ma un obbligo: gli enti locali «sono tenuti ad assicurare che gli importi e i prezzi dei contratti stipulati successivamente alla data di entrata in vigore del presente decreto non siano superiori a quelli derivati, o derivabili» dal taglio del 5 per cento. Il successivo comma 9 precisa che «gli atti e i contratti adottati in violazione» di queste norme «sono nulli e sono rilevanti ai fini della performance individuale e della responsabilità dirigenziale di chi li ha sottoscritti».

Ma le tutele di finanza pubblica non si fermano qui. Il decreto introduce anche delle clausole di salvaguardia di indubbia efficacia. L’articolo 47, comma 11, prevede che il ministero dell’Economia, se non ottiene il risultato desiderato con le queste misure, si trattiene direttamente i soldi attraverso i mancati riversamenti dell’Imu, con chiare conseguenze sugli equilibri di bilancio degli enti inadempienti: ai revisori, peraltro, spetta l’onere di monitorare l’operato delle amministrazioni.

Si tratta, nel complesso, di novità di non poco conto ed alcune, in linea di principio, anche condivisibili.

Purtroppo, però, si ripetono alcuni vecchi errori, su cui sarà necessario fare chiarezza in sede di conversione.

Due per tutti: davvero si vuole ridurre, visto che rientra nelle spese per servizi, anche quanto concordato per il ciclo integrato dei rifiuti? Questo è in assoluto contrasto con gli obiettivi di raccolta differenziata, che porterà a un aumento della spesa e non certo a una sua riduzione, e che per altro è una operazione inutile sul piano della finanza pubblica, data l’integrale copertura tramite Tari.

Ancora, davvero ha senso ridurre anche i programmi di spesa cofinanziati dal Fondo Sociale Europeo, visto che se il Comune riduce la propria quota di spesa, proporzionalmente ridimensiona anche quella comunitaria? In un Paese che si lamenta di non riuscire a sfruttare in pieno i Fondi Ue è curioso che si vadano di fatto a ridimensionare quelli dei Comuni che dimostrano di riuscire a utilizzarli.

Un’ulteriore contraddizione riguarda il “trattamento” dei tempi di pagamento. L’articolo 47, comma 9 del Dl 66/2014 dispone un aumento del 5% nei tagli agli enti che nel 2013 hanno impiegato mediamente più di 90 giorni per pagare i propri fornitori. La base di calcolo per le riduzioni, che contempla anche gli acquisti e contratti di servizio del 2013, penalizza però proprio gli enti che l’anno scorso hanno sfruttato di più le anticipazioni sblocca-debiti. Anche qui il Parlamento dovrebbe intervenire, ma i tempi sono strettissimi (tutti i dati vanno comunicati entro il 31 maggio) e un ulteriore cambio delle regole in corsa finirebbe per aumentare ancora il caos applicativo.


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