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Sindaci, no a doppi giochi
Lo stesso soggetto non può candidarsi a rappresentare due comunità

È legittima la candidatura a sindaco di candidati di due diverse liste presentate nel comune in questione che ricoprono, uno, la carica di consigliere comunale in un comune, e l’altro, la carica di sindaco in altro ente locale? L’art. 60, comma 1, n, 12, del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267 prevede l’ineleggibilità alla carica di sindaco, presidente della provincia, consigliere comunale, provinciale e circoscrizionale per chi riveste le stesse cariche, rispettivamente in altro comune, provincia o circoscrizione. La Cassazione civile, sez. I, con sentenza n. 11894 del 20 maggio 2006 ha interpretato estensivamente la predetta norma, chiarendo che l’ipotesi di ineleggibilità alla carica di sindaco opera anche per chi ricopre la carica di consigliere in altro comune. Tali cause di ineleggibilità cessano solo con la presentazione di formali e tempestive dimissioni degli interessati dalla carica ricoperta, non essendo possibili rimedi equipollenti, quali il collocamento in aspettativa previsto per altre ipotesi di ineleggibilità. La ratio di tale interpretazione si fonda sul principio che il medesimo soggetto «non può far parte di più assemblee rappresentative di altrettante collettività comunali», in nome della esigenza che chiunque è impegnato nella cura di interessi generali di una comunità comunale, ad essa è vincolato in via esclusiva fi no a quando non abbia reciso il legame instaurato con la sua elezione (cfr sul punto Cassazione civile, sez. I, n. 11894 del 20 maggio 2006 e sentenza della Corte costituzionale 2 marzo 1991, n. 97). Nella fattispecie, se è pur vero che dopo l’elezione gli interessati rappresentano, ognuno, una sola collettività comunale, al momento della candidatura esiste la condizione di rappresentare una collettività e l’interesse a voler rappresentare un’altra collettività comunale, condizione questa non consentita dalla normativa vigente in materia che prevede, come già detto, l’obbligo delle dimissioni, ai sensi dell’art. 60, comma 3, del citato decreto legislativo n. 267/2000, al fi ne di non incorrere nelle cause di ineleggibilità di cui al citato art. n. 60, comma 1, n. 12). Le cause di ineleggibilità riguardano situazioni idonee a provocare effetti distorsivi nella parità di condizioni tra i vari candidati, nel senso che, avvalendosi della particolare posizione in cui versa, il soggetto non eleggibile può variamente influenzare a suo favore il corpo elettorale. Diversa è la situazione di incompatibilità, che non si ri ette sulla parità di condizioni tra i candidati, ma attiene alla concreta possibilità, per l’eletto, di esercitare pienamente le funzioni connesse alla carica per motivi concernenti il con itto di interessi in cui il soggetto verrebbe a trovarsi se fosse eletto. Di conseguenza, il soggetto ineleggibile deve eliminare ex ante la situazione in cui versa, mentre il soggetto incompatibile è tenuto ad optare ex post, cioè ad elezione avvenuta, tra il mantenimento della precedente carica e il munus pubblico derivante dalla conseguita elezione (cfr. Corte costituzionale n. 283/2010) Per quanto concerne le iniziative praticabili per far valere l’ineleggibilità, si rammenta che, ai sensi dell’art. 41, comma 1, del richiamato decreto legislativo n. 267/2000, il consiglio comunale dell’ente, nella prima seduta e prima di deliberare su qualsiasi altro oggetto, dovrà esaminare la condizione degli eletti, per dichiarare la decadenza dell’amministratore interessato, in presenza di una delle cause di ineleggibilità. Ciò in quanto, fatta salva la norma di chiusura di cui all’art. 70 della stesso decreto legislativo, in conformità al principio generale per cui ogni organo collegiale è competente a deliberare sulla regolarità dei titoli di appartenenza dei propri componenti, la valutazione in ordine all’eventuale sussistenza di un’ipotesi ostativa all’esercizio del mandato elettorale è rimessa al consiglio comunale del quale l’interessato fa parte.


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