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Permesso di costruire: i limiti all'annullamento
Titoli abilitativi. La giurisprudenza chiarisce i contorni dell'istituto dell'autotutela

<p>Anche dopo otto-dieci anni il permesso di costruire pu&ograve; essere annullato, dai giudici o dal Comune. Con inevitabili conseguenze sulla legittimit&agrave; della costruzione gi&agrave; realizzata. Il permesso di costruire o una sua eventuale variante, sono infatti suscettibili di annullamento ad opera del giudice amministrativo, oppure in via di autotutela, sia da parte dello stesso Comune che li aveva assentiti, sia ad opera della Regione, nelle ipotesi contemplate dall’articolo 39, del Testo unico dell’edilizia (Dpr 380/2001). Ma passando in rassegna il contenzioso (inevitabile) che si viene a creare dopo l’annullamento emerge che la giurisprudenza ha via via precisato i confini entro i quali l’annullamento pu&ograve; muoversi.</p>
<p><strong>Gli effetti</strong><br />Come ricordato in una pronuncia del Tar Piemonte (sezione II, n. 1171/2014) l’annullamento giurisdizionale del permesso di costruire sancisce la qualificazione di abusivit&agrave; delle opere edilizie in base ad esso realizzate, per cui il Comune, &laquo;stante l’efficacia conformativa della sentenza del giudice amministrativo, oltre che costitutiva e ripristinatoria, &egrave; obbligato a dare esecuzione al giudicato adottando i provvedimenti consequenziali&raquo;. Tuttavia, precisa la sentenza richiamando l’analogo orientamento del Consiglio di Stato (sezione VI, n. 3571/2011), i provvedimenti non devono necessariamente portare alla demolizione delle opere eseguite. Ci&ograve; in quanto l’articolo 38 del Testo unico prescrive che in caso di annullamento del permesso di costruire il dirigente del competente ufficio comunale debba effettuare una nuova valutazione circa la possibilit&agrave; di restituzione in pristino e, nel caso in cui la demolizione non risulti possibile, dovr&agrave; irrogare una sanzione pecuniaria nei termini stabiliti dalla medesima norma.<br />Inoltre, la nuova valutazione andr&agrave; comunque effettuata sulla base della normativa esistente al momento della notifica della sentenza di annullamento poi passata in giudicato, venendo cos&igrave; in rilievo anche la nuova disciplina eventualmente intervenuta nelle more del giudizio (Consiglio di Stato, sezione V, n. 5169/2009).</p>
<p><strong>L’errore del Comune</strong><br />Diversa l’ipotesi dell’annullamento in sede di autotutela da parte del Comune, che pu&ograve; verificarsi, ad esempio, quando l’ente non abbia considerato che l’area interessata aveva gi&agrave; espresso in tutto o in parte la volumetria edificabile.<br />Su questo potere e sulle motivazioni dell’atto si registrano due posizioni giurisprudenziali, recentemente richiamate dal Tar Toscana (sezione III, n. 688/2014). Per il primo orientamento, l’annullamento d’ufficio di un permesso edilizio non necessiterebbe di una espressa motivazione sul pubblico interesse al ritiro, configurandosi questo nell’interesse della collettivit&agrave; al rispetto dell’ordinato assetto del territorio delineato dalla disciplina urbanistica (Consiglio di Stato, sezione IV, n. 4300/2012; sezione V, n.3037/2013; Tar Sardegna, n. 651/2013). Il secondo indirizzo, maggioritario, prende in considerazione la natura discrezionale del potere di autotutela, frutto di una scelta di opportunit&agrave; che deve essere congruamente giustificata e che deve rispondere ai generali requisiti di legittimit&agrave; codificati nell’articolo 21-nonies, della legge n. 241/1990, consistenti nell’illegittimit&agrave; originaria del titolo e nell’interesse pubblico concreto ed attuale alla sua rimozione.<br />Interesse che &egrave; diverso dal mero ripristino della legalit&agrave; e che va comparato con i contrapposti interessi dei privati (Consiglio di Stato, sezione III, n. 2683/2012). Ne deriva che l’annullamento d’ufficio del permesso di costruire richiede un’espressa motivazione in ordine all’effettivo interesse pubblico che giustifica il ricorso al potere di autotutela, non essendo sufficiente, anche in materia edilizia, l’intento di operare un’astratta reintegrazione della legalit&agrave; violata (Consiglio di Stato, sezione IV, n. 1605/2013, n.905/2013).</p>
<p><strong>I tempi</strong><br />Il Tar Campania (Napoli, sezione VIII, n. 3608/2014) ha sancito l’illegittimit&agrave; dell’annullamento in autotutela di una concessione edilizia a dieci anni dal suo rilascio, motivata solo con la violazione della fascia di rispetto autostradale e senza tener conto dell’affidamento ingenerato nel privato; mentre il Consiglio di Stato (sezione IV, n. 1986/2012) ha ritenuto legittimo un provvedimento annullatorio emesso a sei anni di distanza dal rilascio del titolo, considerando che, ai sensi dell’articolo 39, del Dpr n. 380/2001, l’annullamento regionale in autotutela pu&ograve; intervenire sino al decimo anno dal rilascio del permesso di costruire.<br />I giudici di Palazzo Spada (sezione IV n.32/2013) hanno anche chiarito che il potere della Regione ha carattere sostitutivo e che, &laquo;a differenza del potere di autotutela riconosciuto al Comune, non comporta un riesame del precedente operato da parte del soggetto titolare del potere di annullamento, ma &egrave; finalizzato ad assicurare da parte delle Amministrazioni comunali il rigoroso rispetto della normativa in materia edilizia&raquo;.</p>


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