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L'allarme dei sindaci: conto oltre i 3 miliardi
Stime distanti tra Governo e amministratori locali - Al via domani i tavoli tecnici di confronto

Riuscirà Roma a contrarre la propria spesa di 302 milioni di euro, tagliandone almeno 90 da quella corrente? E che cosa succederà a Reggio Calabria, appena uscita da due anni di commissariamento, impegnata nel piano di rientro per sfuggire al dissesto e ora chiamata a tagliare 172 euro a cittadino? E dall’altra parte della classifica, Bologna avrà davvero le risorse per sfruttare i 32 milioni di euro che si liberano sul Patto di stabilità, come accade in proporzione anche a Siena, Pavia, Modena e tante città del Centro-Nord? Ruoterà intorno a questi interrogativi il tavolo tecnico di confronto che i sindaci sono riusciti a ottenere dal Governo e che terrà la prima riunione domani.

Dietro ai numeri della finanza locale, infatti, ci sono sempre scelte concrete, asili da aprire o chiudere, strade da rinnovare o abbandonare, ma anche sprechi da tagliare (con i costi politici e sociali che questo comporta) o da mantenere. Quando si parla di bilanci dei Comuni, poi, un conto è discutere delle manovre generali, un altro è vedere gli effetti che queste producono da città a città. E con un cambio di rotta profondo come quello prospettato dalla legge di stabilità, come mostrano i grafici in queste pagine, il film da Comune a Comune cambia drasticamente.

Le posizioni di partenza di sindaci e Governo, in realtà, non potrebbero essere più distanti. Renzi e i ministri mettono l’accento sui “maxi-sconti” offerti dalle nuove regole del Patto di stabilità: il Patto, è il ragionamento, è stata la bestia nera dei Comuni, ha bloccato investimenti e pagamenti (si vedano gli articoli nella pagina a fianco), e ora viene tagliato di tre miliardi di euro (cioè il 70% del totale) in vista di un suo definitivo superamento. A permettere questa manovra è l’avvio della riforma dei bilanci, che arriva ora all’attuazione generalizzata ma è in programma fin dal 2011, e che crea problemi soprattutto agli enti caratterizzati da gestioni “allegre”, riscossioni scarse e spese eccessive. La riforma, secondo i calcoli governativi, blocca 2,3 miliardi (si veda «Il Sole 24 Ore» del 26 settembre) e si aggiunge alla spending review da 1,5 miliardi. In totale, insomma, ai Comuni si chiederebbero circa 800 milioni, sforzo considerato accettabile all’interno di una manovra «che taglia 18 miliardi di tasse».

Completamente opposti, invece, i conti dei sindaci, che sottolineano anche l’addio agli incentivi regionali sul Patto di stabilità (circa un miliardo di euro quest’anno) e un altro effetto collaterale della riforma della contabilità. Si tratta di un punto molto tecnico, cioè il divieto di applicare agli equilibri di bilancio gli avanzi di amministrazione (cioè gli eventuali “risparmi” realizzati nell’anno precedente, spesso più teorici che reali), ma in soldoni significa che i Comuni devono trovare circa 1,4 miliardi in più rispetto all’anno scorso. In tutto, secondo queste stime, la manovra chiederebbe ai sindaci oltre tre miliardi di euro, avvicinando il conto a quello presentato alle Regioni.


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