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Slalom per evitare sforbiciate
Mesi cruciali per i governatori, alle prese con tagli nazionali e l'affaire delle province

Sopravvivere ai nuovi tagli previsti dalla legge di Stabilità, evitando di compromettere i livelli essenziali delle prestazioni. Impedire nuove erosioni delle basi imponibili dei tributi. Gestire la complessa transizione del personale delle province. Sono le tre questioni più impegnative che le regioni devono affrontare in questi primi mesi del 2015. I governatori ne hanno discusso la settimana scorsa a Roma e hanno deciso di accelerare i tempi del confronto con il governo. Il percorso non sarà agevole, ma i tempi sono molto stretti. Entro fine mese, infatti, dovrà chiudersi la complessa partita sulla distribuzione dei tagli imposti dall’ultima manovra e contenuti nella legge 190/2014 (legge di Stabilità 2015).

La sforbiciata vale complessivamente poco meno di 4 miliardi, di cui circa 3,5 a carico delle regioni ordinarie, mentre alle speciali viene chiesto un contributo di circa 500 milioni. Dalla mannaia si sono salvate solo le due province autonome di Trento e Bolzano, confermando (e anzi accentuando) la loro «specialità al quadrato». Tali somme si aggiungono alle riduzioni già previste in precedenza, che valgono altri 1,8 miliardi, per un totale di oltre 5,2 miliardi. Entro il 31 gennaio, le regioni dovranno trovare una quadra sul riparto dei sacrifici; in mancanza, provvederà lo Stato in via amministrativa, decurtando nella misura necessaria i trasferimenti, inclusi quelli destinati al finanziamento del servizio sanitario nazionale. E proprio sulla sanità si sta giocando una delicata partita politica: il governo vorrebbe evitare di toccare questo delicato settore, sul quale pochi mesi fa, con la firma del nuovo Patto per la salute, era stata raggiunta un’intesa che prevedeva un incremento di circa 2 miliardi delle risorse a disposizione. Ma poi hanno prevalso le dure ragioni imposte dal consolidamento dei conti pubblici e ora quei finanziamenti sono più che a rischio. Ma neppure i presidenti regionali vorrebbero presentarsi davanti all’opinione pubblica come quelli che quelli che chiedono di dirottare i tagli sul Ssn e quindi nicchiano. Peraltro, in gioco ci sono anche altri capitoli di spesa molto sensibili: da quelle relative al sociale a quelle riguardanti la scuola (borse di studio, acquisto libri di testo, paritarie), senza dimenticare i trasporti.

Una carta importante per ridurre l’impatto di queste misure sarebbe il c.d. Patto regionale verticale incentivato, che potrebbe portare alle regioni un bonus da 1 miliardo. Ma attualmente, questo strumento (con cui lo Stato premia le regioni che cedono quote di Patto a province e comuni per accelerare i pagamenti degli investimenti) è di difficile applicazione e pertanto richiede dei correttivi normativi.

Le casse delle regioni, inoltre, subiscono gli effetti negativi delle politiche fiscali decise a Roma e che sempre più spesso finiscono per erodere la base imponibile di tributi regionali: l’esempio più lampante è quello dell’Irap, imposta sulla cui riduzione tutti concordano, ma che (piaccia o no) serve per finanziarie Asl e ospedali. L’esecutivo sta andando decisamente in questa direzione, ma senza prevedere compensazioni a favore dei governatori per i mancati introiti Un altro buco che dovrà essere riempito in qualche modo.

Last but not least, abbiamo l’affaire province: la riduzione delle funzioni degli enti di area vasta dovrebbe portare molti lavoratori a cambiare casacca e una parte consistente dovrà finire negli organici delle regioni. Ma queste ultime non hanno i soldi per pagare altri stipendi e Roma non vuole scucire un euro.

Al momento, la situazione è in stallo, ma intanto la stabilità ha quantificato gli esuberi e tagliato di conseguenza le entrate provinciali.

Anche da questo punto di vista, quindi, è necessario che si arrivi rapidamente a decisioni condivise.


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