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Imu agricola ad aliquota standard
Tributi. La risoluzione 2/2015 con i chiarimenti del dipartimento Finanze in vista della scadenza del 10 febbraio per i pagamenti 

I proprietari dei terreni chiamati a pagare la nuova «Imu agricola» entro martedì prossimo dovranno fare i calcoli in base all’aliquota standard del 7,6 per mille, tranne nei casi (rari) in cui i Comuni abbiano deciso «aliquote specifiche» su misura per i terreni. Nei Comuni «parzialmente montani», dove l’Imu evita i coltivatori diretti e gli imprenditori agricoli professionali, l’esenzione dipenderà solo dalle caratteristiche del proprietario: in altre parole, i terreni concessi in affitto o in comodato a coltivatori diretti Iap saranno soggetti all’Imu se il proprietario non ha le stesse qualifiche.

Mentre si avvicina la scadenza del 10 febbraio, con la risoluzione 2/2015 diffusa ieri il dipartimento Finanze offre due chiarimenti importanti sulle nuove regole scritte nel Dl 4/2015, il decreto approvato in extremis dal Governo che oltre alla “proroga della proroga” ha cambiato i parametri per distinguere chi paga e chi evita questa problematica imposta.
In fatto di aliquote, l’analisi del ministero dell’Economia rimanda al comma 692 dell’ultima legge di stabilità (legge 190/2015), dove si legge che l’imposta è calcolata in base alle aliquote standard (7,6 per mille) tranne quando i Comuni abbiano «approvato per i detti terreni specifiche aliquote». La regola è chiara (si veda anche Il Sole 24 Ore del 5 gennaio), ma sulla «specifica aliquota» si è comunque accesa una battaglia interpretativa che il ministero risolve con le istruzioni di ieri. L’aliquota è «specifica» solo se deliberata ad hoc per i terreni, altrimenti il riferimento è al parametro standard del 7,6 per mille. Le aliquote, generalmente più alte, scelte dai Comuni per la categoria «altri immobili», non sono «specifiche», e quindi non si applicano ai terreni. La questione riguarda la maggioranza dei 4mila Comuni in cui si paga l’Imu agricola: le delibere, in genere, prevedono infatti una serie di aliquote su misura (per esempio per le case concesse in comodato, quelle in affitto a canone concordato o libero, e così via) e poi assegnano l’aliquota «ordinaria», spesso al 10,6 per mille o comunque vicina a questo limite, agli «altri immobili». In questa categoria rientrerebbero anche i terreni, ricaduti in ambito Imu dopo il cambio delle regole, ma per attenuare un po’ il colpo la legge chiede appunto che l’aliquota sia «specifica».

Nell’ampia maggioranza dei casi, quindi, si pagherà applicando il 7,6 per mille, perché un’aliquota «specifica» per i terreni è possibile solo nei Comuni in cui una parte dei terreni già pagavano l’Imu prima della “riforma”. Si tratta dei Comuni «parzialmente delimitati», quelli cioè nei quali una parte del territorio era considerato montano, quindi esente, e un’altra parte era ritenuta invece imponibile.

Nel nuovo sistema si incontra una categoria simile, vale a dire quella dei 652 Comuni «parzialmente montani» (nel bailamme dei parametri, i vecchi «parzialmente delimitati» e i nuovi «parzialmente montani» non coincidono). A loro si rivolge il secondo chiarimento contenuto nella risoluzione di ieri. Nei «parzialmente montani», la nuova Imu esenta i coltivatori diretti e gli imprenditori agricoli, e nel Dl 4/2015 (articolo 1, comma 2) si spiega che l’esenzione si applica «anche nel caso di concessione dei terreni in comodato o in affitto» a coltivatori e Iap. Se il proprietario non ha questa qualifica, spiega però il dipartimento Finanze, l’esenzione non scatta, con una lettura restrittiva che sembra coerente con l’architettura dell’imposta (l’Imu è a carico dei proprietari, quindi le regole dipendono dalla loro condizione) ma rende praticamente inutile il comma su comodati e affitti.


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