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Il silenzio-assenso non si forma più in modo automatico
La strategia. Richiesta da confermare al Comune

Il mutato orientamento della Cassazione sulla natura sostanziale della nullità degli atti riguardanti costruzioni abusive potrebbe aprire scenari problematici sulla validità nel tempo dei trasferimenti immobiliari.

L’articolo 40 della legge 47/1985 stabilisce infatti che, in alternativa all’indicazione del titolo abilitativo, anche rilasciato in sanatoria, sia possibile effettuare un atto pubblico allegando copia della sola domanda di condono, con gli estremi della sua presentazione e del pagamento dell’oblazione. Ma questo dimostra solo la validità formale dell’atto; si può scoprire in seguito, anche a distanza di anni, che sull’istanza non si è mai formato il silenzio-assenso per cui l’abuso non è stato sanato.

Infatti, per costante giurisprudenza del Consiglio di Stato (n. 63/2014, n.5090/2014, n. 3097/2013), la sola presentazione di una domanda di condono non costituisce un titolo abilitativo edilizio, il suo accoglimento non avviene ope legis e per la formazione del silenzio-assenso non è sufficiente il solo decorso del termine biennale fissato dall’articolo 35 della legge 47/1985. Il meccanismo pertanto non opera ogni qualvolta manchino i presupposti di fatto e di diritto previsti dalla norma, avendo ad oggetto opere non condonabili, o quando l’oblazione autoliquidata dalla parte interessata non corrisponda a quanto dovuto, oppure quando la documentazione risulti incompleta e quando la domanda si presenti dolosamente infedele.

Volendo avere più sicurezza sulle sorti di un’istanza di condono edilizio alla quale non abbia fatto seguito un provvedimento espresso, sarà quindi opportuno chiedere all’amministrazione comunale il rilascio di una attestazione, di natura ricognitiva, in ordine alla effettiva formazione del provvedimento tacito di sanatoria dell’abuso.

Una risposta negativa porterà, ovviamente, a escludere la trasferibilità del bene realizzato in assenza o totale difformità da titolo, ma un problema potrebbe porsi anche nel caso in cui la Pa rimanga inerte e non fornisca alcuna risposta. Al riguardo, infatti, va segnalato quell’orientamento secondo cui il ricorso contro il silenzio previsto dall’articolo 31 del Codice del processo amministrativo non può trovare applicazione – e va dichiarato inammissibile – in tutti i casi in cui la legge attribuisce al silenzio dell’amministrazione un valore legale tipico, di rigetto di un’istanza ritualmente presentata, oppure di accoglimento, come per il condono edilizio (Tar Puglia-Bari, n. 610/2013). 

Non resterebbe quindi che proporre nei confronti del Comune una domanda volta ad accertare l’effettiva sussistenza di tutti i requisiti che la legge indica come necessari alla formazione del provvedimento tacito di condono.

Questa strada potrebbe però risultare rischiosa, perché, pur se ritenuta ammissibile da parte della giurisprudenza già prima dell’emanazione del Dlgs n. 104/2010 (Consiglio di Stato, sezione VI sentenza n. 717/2009), l’attuale codice del processo amministrativo non prevede una azione di accertamento tra quelle proponibili nei confronti della Pa.


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