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Più autonomia agli enti nelle scelte sulla manovra

Le aspettative di “abolizione del Patto” dello scorso autunno sono andate deluse, non per la dimensione del Patto in sé, che è stata fortemente ridotta sul comparto dei Comuni, ma per la progressiva evidenza del carattere composito della manovra, sulla quale gravano in modo determinante non solo i tagli (per circa 1,5 miliardi), ma anche l’avvio della riforma della contabilità pubblica. In particolare, il primo atto dell’applicazione dei nuovi principi contabili sarà costituito dal riaccertamento straordinario dei residui attivi. A seguito di questa operazione e poi di anno in anno, la massa di residui in bilancio che eccede la dimensione di ragionevoli previsioni di realizzo, anche posposto nel tempo, viene accantonata sul Fondo crediti di dubbia esigibilità (Fcde), contribuendo ad una contrazione della spesa di pari importo sul bilancio corrente.

La proposta di revisione dell’obiettivo finanziario 2015 formulata dall’Anci, sulla quale l’Ifel ha intensamente lavorato fin dalla prima uscita della legge di stabilità, prende anzitutto atto – rendendoli evidenti – dei vincoli effettivi della manovra finanziaria (obiettivo nominale di Patto e Fcde), che costituiscono per la finanza pubblica due componenti dello stesso risultato atteso: un contributo da parte dei Comuni di circa 3,6 miliardi di euro. È con questa dimensione di manovra che ciascun Comune avrebbe comunque dovuto fare i conti nella formulazione del proprio bilancio di previsione. L’alleggerimento degli effetti dell’armonizzazione, già ottenuto con modifiche alla legge di stabilità, ha fornito agli enti più flessibilità nella gestione finanziaria (tagli non computati in «riduzione della spesa corrente», accantonamento graduale dell’Fcde sui bilanci, rinegoziabilità generale dei mutui), confermando però nella sostanza le dimensioni generali dell’intervento.

La proposta approvata dalla Conferenza Stato-città punta a dimensionare in modo più sostenibile e razionale il contributo di ciascun Comune e lascia al singolo ente la decisione sul riparto del proprio obiettivo complessivo tra ammontare dell’Fcde effettivamente accantonato in previsione e obiettivo di Patto vero e proprio. Il nuovo meccanismo contiene due profili di innovazione: la revisione dei criteri di calcolo, basati sulla spesa corrente, non modificati dal 2011, dai quali deriva il 60% dell’obiettivo; l’introduzione di nuovi criteri connessi alla capacità di riscossione per il calcolo del restante 40%.

La prima parte della revisione è in qualche misura un atto dovuto. I criteri sottostanti alla quantificazione inserita nella legge di stabilità facevano ancora riferimento alla sterilizzazione dei tagli da Dl 78, in proporzione dei «trasferimenti statali» del 2010, dai quali è ormai trascorsa un’intera epoca. Con la forte riduzione dell’obiettivo nominale (da 4,4 a 1,8 miliardi), l’utilizzo di un parametro così obsoleto – in pratica la dotazione di trasferimenti, ormai aboliti – avrebbe determinato disparità insostenibili. Il metodo considera l’effetto di tutti i tagli intervenuti dal 2011 al 2014, esclude dai calcoli l’anno con livello di spesa corrente più elevato nel quadriennio 2009-2012, esclude le spese per il servizio rifiuti (finanziato da un prelievo fiscale dedicato) e trasporto locale, abbattendo le variazioni dovute alle diverse previsioni dei contratti di servizio e agli alterni andamenti dei contributi regionali sul trasporto pubblico. A queste razionalizzazioni si aggiunge una correzione a favore degli enti che mostrano una tendenza alla riduzione della spesa corrente. 
Una necessaria clausola di salvaguardia assicura che questa quota di obiettivo non produca aggravi superiori al 20% rispetto all’obiettivo 2014 riproporzionato.
La seconda quota introduce il criterio della capacità di riscossione delle entrate proprie, che risponde all’esigenza contingente di collegare l’obiettivo finanziario a una proxy dell’Fcde. Se un Comune registra un indice di capacità di riscossione più elevato, ci si può attendere un minore ammontare dell’Fcde imputato sul bilancio di previsione e quindi, in assenza di un correttivo specifico, l’obiettivo di Patto che ne risulterebbe sarebbe troppo elevato. Si tratta di un’esigenza contingente, poiché l’emersione dell’effettivo impatto dell’Fcde, permetterà di determinare questa componente della manovra anche a livello di singolo ente, già nel corso del 2015 e certamente dal 2016.
Infine, a alcune esigenze di alleggerimento del Patto (enti capofila, oneri imprevedibili, messa in sicurezza delle scuole e del territorio, bonifiche amianto) contribuisce un fondo di 100 milioni da redistribuire in corso d’anno.

Lo schema approvato, comunque imperfetto, fornisce un contributo per la formulazione delle previsioni, cui seguirà a breve il riparto del Fondo di solidarietà comunale. C’è da augurarsi che nelle prossime settimane vengano affrontati i nodi tuttora irrisolti (integrazione Imu-Tasi, terreni montani, Città metropolitane), ma – soprattutto – che l’allentamento dei vincoli generali di finanza pubblica e la consapevolezza della sproporzione degli oneri richiesti ai comuni possano riaprire il percorso di superamento del Patto di stabilità e di autonomia finanziaria locale di cui il Paese ha bisogno.


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