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Split payment, per i rimborsi la chance delle compensazioni
Il caso. Bisogna sfruttare al meglio questa opportunità

Il regime dello split payment è stato introdotto con la legge di stabilità 2015 all’articolo 17-ter del Dpr 633/72, con la finalità di combattere il fenomeno del Vat gap, ovvero l’evasione dell’Iva, individuata anche dalla Commissione Europea, relativa alle transazioni che intercorrono con la pubblica amministrazione. In attesa della deroga da parte del Consiglio dell’Unione Europea, che dovrà pervenire entro il 30 giugno 2015, lo split payment si applica alle operazioni fatturate a partire dal 1° gennaio 2015, per le quali l’esigibilità dell’imposta si verifichi successivamente alla stessa data. In assenza di deroga, è previsto l’incremento delle accise della benzina e del gasolio, per garantire maggior gettito per un miliardo di euro.
Il meccanismo prevede che l’Iva venga versata all’Erario direttamente dalla Pa, che effettua un duplice pagamento (scissione del pagamento) verso:

A causa del fisiologico credito Iva che i fornitori della Pa si troveranno ad accumulare, essi sono ammessi al rimborso in via prioritaria (articolo 38-bis comma 10 del Dpr 633/72) in base al presupposto dell’aliquota media, ma solo in relazione alle operazioni interessate dallo split payment, con evidenti complicazioni operative.
Sotto il profilo soggettivo la misura si applica alle operazioni nei confronti delle Pa individuate con la stessa elencazione prevista per le operazioni a esigibilità differita ex articolo 6 comma 5 del Dpr 633/72.

Sotto il profilo oggettivo la misura riguarda tutti gli acquisti effettuati dalle Pa, sia sotto la sfera commerciale sia istituzionale, ad eccezione delle:

Il comunicato del ministero dell’Economia del 9 gennaio ha scongiurato l’applicazione dello split payment alle operazioni fatturate nel corso del 2014, come confermato poi dall’articolo 9 del Dm 23 gennaio 2015. Sotto il profilo soggettivo i destinatari della disposizione sono gli stessi dell’esigibilità differita, che tuttavia essendo un’agevolazione è destinata a una platea circoscritta. Al riguardo era stato chiarito che i destinatari dovessero rivestire natura pubblica (risoluzione m. 159/E/2002) e agire come organi dello Stato (risoluzione n. 99/E/2004). La circolare 1/E/2015 ha fornito un’agevole soluzione del problema, avallando l’utilizzo dell’indice delle Pa per individuare i destinatari della disciplina, salvo interpello in casi dubbi.
La circolare 6/E/2015 ha chiarito altri importanti aspetti:

Infine il Dm 20 febbraio 2015 ha semplificato le modalità di rimborso prevedendo che vi possano accedere anche i contribuenti a inizio attività, non vi siano più i limiti minimi di 10mila e 3mila euro per i rimborsi annuali e trimestrali, né il limite di importo chiesto a rimborso non inferiore al 10% del totale dell’Iva detratta.

Le imprese fornitrici della Pa matureranno crediti Iva e, benché ammesse fra i destinatari dei rimborsi in via prioritaria, si teme che gli stessi si faranno attendere. Da ciò la necessità di finanziare questi crediti, con le difficoltà di accedere al credito bancario e il sostenimento di oneri finanziari.

Per evitare che si ritorni alla situazione di difficoltà di incasso dei crediti Iva degli anni 2011/2012, prima che l’agenzia delle Entrate diramasse le opportune direttive agli uffici e le nuove procedure di lavorazione delle pratiche, andrebbe innalzato il limite annuo delle compensazioni con F24, attualmente pari a soli 700mila euro. Non si può fare a meno di segnalare, infatti, che è stato proprio l’innalzamento da 516.456,90 euro a 700mila euro uno dei fattori che ha garantito, nello scorso anno, la regolarizzazione dei rimborsi: innalzare questa soglia ad almeno 1 milione ridurrebbe i rischi di ritardo che lo split payment e l’estensione del reverse charge minacciano.

Complessivamente, le criticità del nuovo regime – presente solo in Italia fra i Paesi Ue – sembrano non giustificare le finalità antievasive per cui è stato introdotto.


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