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Regioni autonome, lo Stato può fissare gli obiettivi del Patto
Corte costituzionale. Sì alle misure unilaterali prima dell’intesa

Lo Stato può fissare in via unilaterale la misura del concorso e i criteri del riparto del Patto di stabilità anche per le Regioni a Statuto speciale.
A dirlo è la Corte costituzionale, nella sentenza 19/2015 (presidente Criscuolo, relatore Carosi) depositata giovedì scorso, che interviene dopo un lungo contenzioso costituzionale e dopo uno stillicidio di norme finanziarie succedutesi in brevissimi archi temporali.

Ora è chiarito che lo Stato può determinare unilateralmente la misura complessiva del concorso, anche se provvisoriamente ed entro i limiti della proporzionalità e della ragionevolezza. Questa mossa, infatti, rientra a pieno titolo nel «coordinamento della finanza pubblica» attribuito alla competenza esclusiva statale dall’articolo 117 della Costituzione. In questo quadro, sottolinea la sentenza, il controllo della finanza pubblica va letto in relazione ai vincoli europei, che con le nuove regole ha anche anticipato l’esame dei programmi presentati dai singoli Paesi e quindi non permette di mantenere indefinito il concorso delle Regioni autonome in attesa dell’accordo.

In caso di mancato accordo, però, i criteri fissati in via unilaterale devono intendersi come provvisori, fino al momento in cui scadono i termini previsti dalla legge per l’intesa.
L’accordo, sottolinea la Corte con una presa di posizione importante, non ha ad oggetto il solo concorso individuale delle autonomie speciali; lette così, infatti, le regole avrebbero una portata limitata, anche perché il vincolo dell’invarianza dei saldi consentirebbe di concedere più spazi finanziari a una Regione solo in cambio di vincoli più stringenti a carico delle altre. L’accordo, spiega invece la sentenza, «serve a determinare nel loro complesso punti controversi o indefiniti delle relazioni finanziarie tra Stato e Regioni», per esempio «le fonti di entrata fiscale, la cui compartecipazione sia quantitativamente controversa, l’accollo di rischi di andamenti difformi tra dati previsionali ed effettivo gettito dei tributi, le garanzie di finanziamento integrale di spese essenziali, la ricognizione globale o parziale dei rapporti finanziari tra i due livelli di governo e di adeguatezza delle risorse rispetto alle funzioni svolte o di nuova attribuzione, la verifica di congruità di dati e basi informative finanziarie e tributarie, ed altri elementi finalizzati al percorso di necessaria convergenza verso gli obiettivi derivanti dall’appartenenza all’Unione europea».

In base a questa «lettura costituzionalmente orientata», le regole che guidano i rapporti fra Stato e Regioni autonome offrono un orizzonte applicativo molto ampio, e rappresentano per esempio la sede per conciliare i rapporti debitori e creditori tra Stato e Regioni, che oggi presentano disallineamenti miliardari con conseguenze pesanti in fatto di equilibri di finanza pubblica e di certezza di risorse.

Anche perché su questo fronte molti interrogativi nascono dal meccanismo degli accordi bilaterali fra lo Stato e le singole Regioni autonome. Nel 2014 sono stati siglati con Sardegna, Friuli Venezia Giulia, Provincia di Trento e di Bolzano, Trentino Alto Adige, accordi molto diversi tra loro, di cui alcuni appaiono certamente più vantaggiosi.
Ciò ha provocato ad esempio, come racconta la stessa sentenza, che la Sicilia prima ha sottoscritto una bozza di accordo con il Mef e poi l’ha disattesa proseguendo nel contenzioso; anche la Valle d’Aosta si è rifiutata di firmare l’accordo e ha impugnato sia i criteri di ripartizione del concorso, sia il concorso come quantificato dallo Stato. 


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