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Così i Comuni producono carta e non servizi 

Il nuovo monitoraggio proposto in questa pagina conferma la sensazione di una macchina burocratica che ha perso il senso della misura e delle priorità, e che si accanisce sul malcapitato di turno pretendendo una serie continua di adempimenti, disinteressandosi dei disagi e dei costi che costui – imprenditore, professionista, semplice cittadino o, in questo caso, dirigente comunale – si trova ad affrontare nel suo lavoro quotidiano. 

Astrattamente, tutto ciò che viene richiesto al povero responsabile dei servizi finanziari di un Comune non è necessariamente sbagliato, o almeno spesso presenta vantaggi e svantaggi, su cui è giusto decida la politica: è il caso dello split payment, per esempio. Da una parte solleva l’Erario dalle incertezze sulle entrate dell’Iva, visto che le aziende in crisi, pur di non chiudere, si assumono a volte il rischio, anche penale, di non pagare. Ma è altrettanto vero che per questo “scrupolo” (o egoismo fiscale che dir si voglia) si rischia di dare il colpo di grazia alle molte imprese già in crisi di liquidità; e, per quanto ora ci riguarda, si è creata un’enorme complicazione, prima interpretativa (mai che una norma sia chiara) e poi operativa a tutte le nostre Pa. E che dire della fattura elettronica? Strumento che a regime renderà forse più semplice il lavoro, ma che richiede studio e altri adeguamenti informatici sia alla Pa sia ai suoi fornitori.
E si può continuare parlando del piano di riduzione delle società, che si dimostrerà inutile se, e non ne dubitiamo, il Presidente del Consiglio manterrà la promessa di produrre a breve addirittura due decreti legislativi sul tema dei servizi pubblici a rete e sugli altri organismi partecipati.

Tante norme e novità, insomma, affollano l’agenda del ragioniere del Comune, e diventa poco importante sapere se hanno una finalità giusta oppure no. Il risultato è quello di creare confusione, incertezza, di costringere le persone a lavorare male. E questo accade in un momento in cui avremmo tutti bisogno di riflettere bene sul funzionamento dei nostri enti locali, avendo a cuore le uniche vere priorità, che non sono rappresentate dalla riforma del sistema contabile, importante sul piano dell’attendibilità dei bilanci ma non su quello della qualità e dei costi dei servizi. 

La vera questione, oggi, è semplificare, riuscire a ridurre il peso di una burocrazia che si dimentica che la ragione per cui abbiamo Comuni, Province e aziende partecipate è fornire utilità al cittadino a valori accettabili, e che non è tollerabile che si continui a destinare risorse crescenti alle questioni amministrative quando si tagliano gli asili nido e si aumentano le tariffe. 
Insomma, abbiamo perso la bussola e ci siamo dimenticati delle priorità vere. Per questo la riforma della contabilità, pure utile, deve essere rivista alla luce dell’esigenza di rendere le cose più semplici. Ed è urgente, accanto a ciò, una vera riforma delle organizzazioni pubbliche, con l’obiettivo di cancellare l’aberrazione che ci porta ad avere Comuni dove su dieci addetti solo due producono servizi, mentre gli altri otto si affannano di rincorrere scadenze e richieste burocratiche.


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