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In arrivo le tavole di Cantone
Oggi Padoan e Madia presentano decalogo Anac anti-corruzione per le società pubbliche

Società pubbliche a prova di trasparenza, rotazione degli incarichi, rigide incompatibilità e ampia tutela per chi svela il malaffare. Arriva la direttiva proposta dall’Authority anti-corruzione di Raffaele Cantone, che lancia il decalogo delle nuove regole per garantire massima pubblicità alla vita e alle scelte operative delle società pubbliche con l’obiettivo di prevenire la corruzione.

Si applicherà subito alle aziende non quotate sotto il diretto controllo del ministero dell’Economia e delle Finanze e, tra qualche settimana dopo un confronto con la Consob, anche alle quotate. Parliamo di imprese strategiche: Rai, Anas, Fondo italiano di investimento, Expo, Sogei, e ancora Eni, Enel, Finmeccanica, Poste e Ferrovie, che dovranno fare i conti con le indicazioni stringenti della famosa legge Severino, con il decreto Madia e con le nuove norme sulla trasparenza. Oggi la direttiva sarà presentata ufficialmente e dopo una rapida consultazione online diventerà operativa. Le linee guida saranno illustrate dal ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan, dal ministro della Pubblica amministrazione, Marianna Madia, da Roberto Garofoli, capo di Gabinetto del ministro Padoan, dal presidente dell’Anac, Cantone, e dal consigliere presso la presidenza del consiglio, Andrea Guerra. Si tratta di una sfida alla corruzione in dodici pagine. I punti principali del decalogo prevedono: la stesura di un piano anti-corruzione con l’individuazione di un responsabile della prevenzione; la mappatura delle aree a rischio; l’adozione di un codice di comportamento; la trasparenza sul web di tutti i dati; l’incompatibilità degli incarichi; la rotazione degli incarichi; il divieto di assunzione degli ex dipendenti; la tutela delle «gole profonde».

Renzi, io autoritario? Inventatene un’altra

«Chi parla di deriva autoritaria dimentica un fattore importante: chi decide, chi prende decisioni ed è legittimato a farlo, non è un dittatore ma uno che non consegna il Paese all’alternativa della palude». Il premier Matteo Renzi ha scelto un suo intervento alla Luiss per rispondere alle accuse sulle modalità con cui ha portato avanti le riforme. «Veniamo da anni di mancate decisioni, senza di esse il Paese si blocca e perde credibilità. È ora di finirla con la vetocrazia, trovo avvilente parlare di deriva autoritaria», ha sottolineato Renzi, secondo il quale «decidere è democrazia, mancanza di decisioni è invece anarchia». Parlando dei veti che puntano a ostacolare le riforme, Renzi ha citato i Promessi sposi, in particolare la figura dell’Azzeccagarbugli. «Noi siamo contro chi vuole fare l’Azzeccagarbugli, usando l’interpretazione della legge per bloccare le riforme. È arrivato il momento di semplificare questo Paese», ha detto Renzi che sulla legge elettorale, il sodetto Italicum, si è detto certo: «Tra dieci anni ce la copierà mezza Europa». Intanto, il ministero delle Infrastrutture e dei trasporti è passato ufficialmente nelle mani di Renzi, che è salito al Colle e ha incontrato il presidente Sergio Mattarella per per poco più di un’ora sia per riferire sugli esiti del Consiglio europeo sia per assumere l’interim e contemporaneamente ragionare sui possibili scenari. Perché», lo ha anticipato a dimissioni di Maurizio Lupi annunciate, «l’interim sarà breve, durerà soltanto qualche giorno. (…)(…) Poi toccherà al vero successore di Lupi prendere le redini dell’intera delicatissima partita degli appalti e delle grandi opere, resa scottante dallo scandalo dell’inchiesta di Venezia che ha portato all’arresto dell’ex superdirigente del dicastero, Ercole Incalza, e del ras dei cantieri Stefano Perotti. La notizia che il presidente Mattarella ha affidato a Renzi l’interim del ministero delle Infrastrutture è stata resa nota in una lettera letta alla Camera dalla vicepresidente Marina Sereni.

In pole position c’è Delrio

L’intenzione di Renzi sarebbe comunque quella di affidare presto il ministero a un politico della sua cerchia, in modo da tenere saldo il controllo di Palazzo Chigi sugli appalti. Il nome in pole position è quello dell’attuale sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Graziano Delrio, che si schermisce: «Io al ministero delle Infrastrutture? Dovete chiedere al presidente del Consiglio, non a me». Delrio dovrebbe però lasciare la sua delega ai Fondi Ue, che potrebbe essere affidata a un nuovo ministro degli Affari regionali (posto vacante dopo l’addio di Maria Carmela Lanzetta) in modo da rafforzare il dicastero e trasformarlo in una sorta di ministero del Sud. Il papabile è Gaetano Quagliariello, anche per compensare la presenza di Ncd dopo le dimissioni di Lupi. Ma lo stesso Quagliariello, che del partito di Alfano è coordinatore nazionale, ha detto: «No, non sarò ministro». La successione di Lupi è in realtà ancora tutta da scrivere. Un’altra candidatura possibile è quella di Debora Serracchiani, vicesegretaria Pd, ma il suo incarico di governatrice del Friuli Venezia Giulia appare un ostacolo.Resta in piedi, ma con minor vigore, l’ipotesi di spostare alle Infrastrutture Raffaele Cantone e di sostituirlo all’Autorità anticorruzione con un altro magistrato senza macchie come Nicola Gratteri. Non sarebbe piaciuta al Colle l’idea di spacchettare il ministero in due: da una parte le Infrastrutture, a guida politica (con Delrio o con il fedelissimo di Renzi Luca Lotti, oggi sottosegretario con delega all’editoria), dall’altro i Trasporti, a guida tecnica (con Mauro Moretti o Andrea Guerra). Un’alternativa potrebbe essere pure quella di spostare a Palazzo Chigi la sola struttura tecnica di missione, affidandola proprio a Lotti. Il ministro dell’Interno, Angelino Alfano, che è anche leader di Ncd, in un’intervista alla Stampa si è intanto detto convinto che il premier non ridimensionerà il ruolo dei centristi nell’esecutivo: «Non credo che sia nell’interesse della maggioranza, e dello stesso Matteo Renzi, ridimensionare un partito come il nostro, serio, affidabile, e che porta i risultati a casa».

Poletti: tre mesi di vacanza dalla scuola sono troppi

«Un mese di vacanza va bene. Ma non c’è un obbligo di farne tre. Magari uno potrebbe essere passato a fare formazione. Una discussione che va affrontata». Il ministro del lavoro Giuliano Poletti ha gettato un sassso nello stagno. «I miei figli d’estate sono sempre andati al magazzino della frutta a spostare le casse. Sono venuti su normali, non sono speciali», ha proseguito. Secondo il ministro occorre quindi cominciare a pensare che una relazione con il lavoro «è una cosa che vale la pena di fare». Un modo anche, secondo il ministro, «per garantire una formazione». «Anche noi genitori, la società, dobbiamo riconsiderare il tema del lavoro e le giovani generazioni. Un mese di vacanza va bene, un mese e mezzo», ha continuato, ma non c’è un obbligo di farne tre. Magari uno potrebbe essere passato a fare formazione. Una discussione che va affrontata». Poletti ha affrontato anche il tema della riforma della cassa integrazione. «La cassa integrazione c’è e rimarrà», ha precisato Poletti, aggiungendo che «è già prevista nella legge delega sul lavoro». L’obiettivo è «integrare gli ammortizzatori sociali, con strumenti di politiche attive». «Abbiamo delle situazioni storiche», ha continuato Poletti, «dove i lavoratori rimangono in cassa integrazione anche per 12 anni, a tutela del fatto che se passa la crisi, può tornare a lavorare in quella azienda. Ma quando lui torna, l’azienda non c’è più». «Non ci prendiamo in giro, gli stiamo dando un’integrazione di reddito, che è una misura sociale, non di tutela del lavoro. Non vogliamo dare meno tutele, o garanzie, ma più opportunità».


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