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Stallo sul Dl banda ultralarga
La rete. Se il provvedimento non andrà al Cdm domani, se ne riparla dopo l’estate

Il destino del decreto attuativo per il piano banda ultralarga dovrebbe decidersi oggi. Le misure di incentivazione allo sviluppo della fibra, che gli operatori di tlc attendono per dare materialmente il via ai propri piani di investimento, risultano di fatto “bloccate” da una discussione in seno a Palazzo Chigi sull’opportunità di procedere con un decreto legge: se non sarà presentato all’esame del Consiglio dei ministri di domani, se ne riparlerà dopo l’estate, visto che ci sono 60 giorni di tempo per convertire il provvedimento in legge e il Parlamento chiude i battenti, per la pausa estiva, il 12 agosto. C’è chi solleva il tema della “necessità e urgenza” che giustifica il decreto legge, e chi adduce problemi di notifica alla Ue, anche se – a quanto viene riferito – l’incontro della settimana scorsa con Oliver Stehmann, della direzione generale Competition di Bruxelles, di una delegazione italiana (il sottosegretario alla Presidenza del consiglio Raffaele Tiscar, Salvatore Lombardo di Infratel e il vice-ministro per le Comunicazioni Antonello Giacomelli) avrebbe avuto riscontri positivi. Nemmeno risultano esserci più perplessità di copertura da parte della Ragioneria dello Stato.

I motivi dello stop, che potrebbe essere anche temporaneo, non sono insomma del tutto chiari, laciando spazio a dietrologie – tra gli operatori del settore – che ci sia un qualche collegamento – che in teoria non dovrebbe esserci – con la questione del ricambio al vertice di Cdp e la supposta conseguente ridefinizione della “missione” della Cassa.

Di fatto, non dovrebbero esserci problemi per gli strumenti della garanzia pubblica ai finanziamenti per le aree a fallimento di mercato e per i voucher ai “consumatori” per incentivare il passaggio alla fibra (che dovrebbero essere concessi solo a partire dal 2017), mentre per il credito d’imposta sarebbe necessario un approfondimento a livello europeo. L’alternativa in discussione sarebbe quella di riproporre per il momento i “vecchi” strumenti di incentivazione che potrebbero essere attivati con una semplice delibera del Cipe. Ma, in questo caso, le delibere dovrebbero essere prese di anno in anno, centellinando i 5 miliardi di stanziamenti che erano previsti dal piano per quanto riguarda i fondi pubblici italiani. Non proprio quel quadro di “certezza” che gli operatori si aspettavano per poter programmare investimenti di lungo periodo.

Resterebbe poi “appesa” la componente legata ai fondi europei, altri 1,2 miliardi, cui dovrebbe aggiungersene altrettanti di co-investimento di parte italiana.


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