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Tari al nodo dei costi fra Ato e Comuni
Tributi. Il calcolo della tariffa

Entro il 30 luglio, termine ultimo (per ora) per l’approvazione del bilancio di previsione, occorre approvare le tariffe Tari 2015. In caso di mancata approvazione, si intendono automaticamente prorogate quelle deliberate per il 2014. Tuttavia, a differenza degli altri tributi, è opportuno, anche in caso di conferma delle vecchie tariffe, adottare una delibera consiliare per evidenziare tutte le componenti di costo che devono trovare copertura con la tariffa. L’esigenza nasce dal fatto che in realtà le modalità di applicazione del tributo possono divergere significativamente da Comune a Comune. 

Dal lato della formulazione delle tariffe, la normativa offre tre opzioni. La prima, prevista dal comma 651 della legge 147/2013 è il metodo normalizzato (Dpr 158/1999). In alternativa, il comma 652 prevede che il Comune possa articolare le tariffe in base alle quantità e qualità medie prodotte per unità di superficie in relazione alle attività svolte, secondo la stessa metodologia già in uso per la Tarsu. Il medesimo comma 652 permette poi di deliberare le tariffe secondo un metodo normalizzato semplificato, in quanto consente per le utenze domestiche di non tener conto dei componenti la famiglia e per le utenze non domestiche di derogare del 50% i coefficienti minimi e massimi di produzione dei rifiuti (tabelle allegate al Dpr 158/1999), ma solo per il 2014 e 2015. La determinazione dei costi invece deve avvenire in base ai criteri individuati nel metodo normalizzato e le tariffe determinate dal Comune «devono in ogni caso assicurare la copertura integrale» dei costi del servizio.

Qui però iniziano le incongruenze, perché le tariffe vanno approvate sulla base del piano finanziario redatto dal gestore e approvato dall’Autorità d’ambito competente, se istituita.
La normativa sembra presupporre che tutti i costi da considerare siano sostenuti dal gestore, ma in realtà non è così, perché il Comune potrebbe sostenere direttamente costi operativi (come lo spazzamento delle strade) oppure, molto più frequentemente, costi amministrativi per l’accertamento, la riscossione e il contenzioso. In realtà, quindi, le tariffe dovranno tener conto di tutti i costi, indipendentemente dal fatto che siano confluiti nel piano finanziario redatto dal gestore. 

Visto che la tariffa è riscossa dal Comune, salvo che non si applichi il corrispettivo, particolare attenzione andrà posta ai crediti inesigibili, che vanno qualificati come costi comuni diversi.
Sul tema degli inesigibili si è di recente concentrata l’attenzione, prima, di alcune sezioni regionali di controllo della Corte dei Conti (Toscana ed Emilia Romagna) e poi del legislatore, che nel Dl 78/2015 ha precisato, opportunamente, che tra le componenti di costo vanno considerati anche gli eventuali mancati ricavi relativi a «crediti risultati inesigibili» con riferimento a Tia 1, Tia 2 e Tares. Per il computo degli inesigibili occorrerà tener conto solo delle quote che al termine di tutta la procedura di accertamento e riscossione (fino all’ingiunzione/cartella di pagamento) risultano non riscuotibili, e non degli insoluti, cioè degli avvisi bonari non pagati ma ancora non sollecitati o accertati. Ciò implica anche che nel piano finanziario non può essere inserita una quota di accantonamento determinata con le stesse regole previste dall’armonizzazione contabile, in quanto le regole di determinazione dei due tipi di accantonamento soggiacciono a discipline diverse.


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