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Riforme, Renzi frena sui tempi
Nuovo Senato e Titolo V. Il premier: c’è tempo per discutere, iniziando a votare in commissione a fine agosto

La priorità è portare a casa l’approvazione definitiva del Ddl scuola e la delega sulla Pa, ormai in dirittura d’arrivo. Ieri Matteo Renzi ha fatto il punto a Palazzo Chigi sull’agenda parlamentare prima della chiusura estiva delle Camere con la ministra per le Riforme Maria Elena Boschi e i capigruppo Ettore Rosato (Camera) e Luigi Zanda (Senato). E proprio nel giorno in cui la riforma costituzionale che abolisce il Senato elettivo e riscrive il Titolo V inizia il suo iter in Senato per la decisiva terza lettura (oggi la presidente della prima commissione Anna Finocchiaro farà la sua relazione introduttiva), la sua approvazione sembra allontanarsi di parecchie settimane. Non solo non ci sarà il via libera da parte dell’Aula entro la pausa estiva, come detto nei giorni scorsi, ma per i primi di agosto non si riuscirà con ogni probabilità neanche ad ottenere il via libera in commissione. «Sulle riforme siamo pronti a discutere nel merito, desiderio della maggioranza del Pd è mostrare che c’è vera volontà di dialogo – è il ragionamento fatto dal premier con i suoi -. Modifiche al testo costituzionale sono possibili a condizione, però, che vi sia ampio consenso e chiarezza sui tempi. Ma ci sarà tempo per discutere nei prossimi giorni, iniziando a votare in commissione alla fine di agosto-inizio settembre». 

Motivi tecnici, innanzitutto. Nella riunione è emerso l’ingorgo dei provvedimenti all’ordine del giorno di Palazzo Madama, dove entro la prima settimana di agosto vanno convertiti tre, forse quattro decreti. C’è inoltre da varare il bilancio interno del Senato, e dalle commissioni potrebbero arrivare importanti disegni di legge come quelli sulla Rai, sulle unioni civili, oltre all’ultimo passaggio della delega Pa. Insomma molta carne al fuoco. Avanti dunque sulle riforme, ma avanti adagio, senza impiccarsi alle date. «Questa prima settimana servirà soprattutto per annusarsi», confermano i vertici dem in Senato. Perché il nodo da sciogliere non è tanto quello del calendario intricato, quanto quello politico: l’accordo con la minoranza del Pd, determinante con i suoi 25 senatori schierati per la reintroduzione del Senato elettivo. In un’Aula dove la maggioranza si regge per meno di 10 voti l’accordo interno al Pd appare indispensabile, né i voti dei dissidenti – opportunità politica a parte – possono essere sostituiti dalla decina di verdiniani pronti a votare la riforma. Cautela, dunque. Ed è la stessa cautela emersa alla Camera, dove il capogruppo Ettore Rosato chiederà oggi alla presidente Laura Boldrini di rimandare il rinnovo delle commissioni in scadenza: per sostituire le quattro presidenze ancora in mano a Forza Italia manca ancora la quadra dentro il Pd.

Sulla questione dell’elettività del futuro Senato sollevata dai 25 senatori dem dissidenti la soluzione potrebbe essere l’introduzione del principio di “riconoscibilità” dei futuri senatori in Costituzione: nel nuovo articolo 70 sulle competenze legislative del Senato delle Autonomie, in modo da non toccare l’articolo 2 del Ddl Boschi per non correre il rischio di rimettere tutto in discussione. Ma la soluzione non è appunto tecnica, quanto politica. A tutto ciò si aggiunge la questione non di poco conto della composizione della prima commissione: maggioranza e opposizione sono 14 a 14, dal momento che Mario Mauro è passato da Scelta civica a Gal. Ma per “aggiornare” la commissione occorre il via libera del presidente del Senato Pietro Grasso (oggi stesso potrebbe tenersi un incontro con il capogruppo Pd Zanda per affrontare la questione).

Quanto ai tempi per il referendum confermativo, che Renzi come noto vorrebbe tenere già a giugno prossimo accorpandolo al voto nelle grandi città (Milano, Napoli, Torino, Bologna e forse anche Roma), secondo alcuni costituzionalisti vicini al governo possono essere compressi ben sotto i 5 mesi. Quindi, anche con l’approvazione del Ddl Boschi entro ottobre da parte prima del Senato e poi della Camera, l’ipotesi referendum nel giugno del 2016 resterebbe in piedi. Tutto sta a sbloccare il nodo politico interno al Pd. Ma per questo, a quanto pare, c’è l’estate di mezzo.


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