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«Spazio alle Pmi negli appalti»
La riforma. Angelo Camilli (Unindustria) propone le misure da inserire nel Ddl all’esame della Camera

La riforma del codice degli appalti, con il recepimento delle direttive Ue sui contratti di lavori, forniture e servizi, è l’occasione per facilitare l’accesso delle Pmi a un mercato pubblico che, secondo l’Anac, negli ultimi cinque anni ha visto crescere del 33% la dimensione media dei lotti messi in gara. Ne è convinto Angelo Camilli, presidente della Piccola industria di Unindustria e responsabile del tavolo sugli appalti della «Piccola» di Confindustria. «Il disegno di legge approvato dal Senato – dice Camilli – contiene già alcune novità importanti, mutuate dalle direttive europee, che tuttavia è necessario rafforzare, se si vuole ampliare la quota di mercato delle Pmi oggi molto esigua». C’è un problema di «bilanciamento» anche per contrastare la tendenza all’aumento delle dimensioni dei lotti: c’è un aspetto di tutela della concorrenza ma anche di difesa occupazionale. Un «bilanciamento» necessario anche in un mercato estremamente frammentato come quello italiano. «Siamo favorevoli alla razionalizzazione che può riguardare sia le stazioni appaltanti che le imprese – dice Camilli – ma l’importante è che non siano favoriti sempre i soliti ed esclusi altri e che la selezione avvenga su criteri trasparenti ed efficienti». Si aggiunga che a gravare più pesantemente sulle Pmi ci sono patologie generali del sistema, come i ritardi dei pagamenti Pa.

Come rimediare? Una prima proposta integrativa dell’attuale testo all’esame della Camera riguarda il «monitoraggio sull’applicazione effettiva delle norme» che dovrebbe portare all’istituzione di una figura di garanzia. «Potrebbe essere un potenziamento dell’attuale “mister Pmi” oppure una figura amministrativa che sia collocata in un ruolo indipendente rispetto alle amministrazioni appaltanti – dice Camilli – ma dovrebbe comunque avere i poteri per bloccare procedimenti e bandi dove ci sia una violazione delle norme poste a tutela delle Pmi». Un’altra ipotesi di scuola (statunitense) è la previsione di quote riservate alle Pmi. «Si potrebbero applicare sperimentalmente partendo da mercati e settori specifici in cui le piccole e medie imprese hanno una tradizione di forte innovazione, come per esempio nell’information technology. Ma quello che serve davvero, aldilà della soluzione specifica, è un’indicazione di tipo politico generale che spinga le amministrazioni appaltanti a un atteggiamento di attenzione verso le Pmi che oggi non c’è». 

C’è poi il tema dei requisiti per l’accesso alle gare. A differenza dei due precedenti punti, questo è stato già dibattuto in sede di legge delega al Senato. «La formulazione – dice Camilli – è ancora generica e capisco che una legge delega non possa entrare troppo nel dettaglio. Ci sono però due correttivi che a nostro avviso sono necessari per risolvere gravi distorsioni presenti oggi nel mercato degli appalti. Il primo è quello di introdurre un limite al fatturato generale richiesto. Questo parametro deve essere proporzionato al valore dell’appalto e non può essere, come accade spesso, determinato arbitrariamente con l’obiettivo di escludere un’ampia fetta di possibili offerenti. La nostra proposta è un fatturato generale pari al massimo a due volte l’importo dell’oggetto dell’appalto». L’altro paletto per evitare discriminazioni delle Pmi nella definizione dei requisiti di fatturato riguarda i cosiddetti «requisiti specifici» finanziari o tecnici: la richiesta cioè di un fatturato di settore o l’importo minimo di un singolo lavoro realizzato. «Anche qui andrebbe introdotto un principio generale per cui i requisiti specifici devono comunque essere coerenti con l’appalto messo in gara».

C’è poi il tema dei lotti, già affrontato dal Ddl approvato da Palazzo Madama con l’introduzione di un divieto di accentramento artificioso dei lotti. «Non c’è solo un problema di importo dei singoli lotti ma anche di durata degli appalti perché in certi settori un appalto della durata di cinque anni può significare escludere dal mercato le imprese che non riescono a maturare i requisiti necessari». Più in generale la lunga durata dei contratti riduce la concorrenza. 


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