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Possibili risparmi da 23 miliardi sulla spesa pubblica locale
Il rapporto Confcommercio. Il recupero di efficienza ottenibile senza tagli ai servizi

In Italia sarebbero possibili risparmi sulla spesa pubblica locale per un ammontare di circa 23 miliardi l’anno senza tagliare i servizi ai cittadini, anzi migliorando quelli delle regioni che oggi offrono i livelli peggiori. È quanto si ricava da un rapporto dell’ufficio studi di Confcommercio presentato ieri dal suo direttore, Mariano Bella. La spesa pubblica locale ammonta complessivamente a 176,4 miliardi ma, è il ragionamento di Confcommercio, ne basterebbero 102 perché ciascuna regione possa offrire gli stessi servizi ai prezzi migliori (quelli della Lombardia, secondo lo studio). 

Dunque 74,1 miliardi di spesa, pari al 42% del totale, sono in eccesso. Posto che per portare tutti i servizi al livello della regione più efficiente bisognerebbe comunque reinvestire 51,2 miliardi, circa 23 miliardi di spesa di regioni, province e comuni sono «del tutto ingiustificati» e rinunciarvi consentirebbe un cospicuo spazio per una riduzione di imposte, assolutamente necessaria per il rilancio della crescita in Italia.

«Le imposte – ha detto ieri il chief economist della Confcommercio – sono tutte nemiche della crescita, ci sono quelle più nocive e quelle meno nocive». Quindi, ha aggiunto, «al di là di fare giochini sul mix di reddito bisogna ridurre la pressione fiscale e per ridurre la pressione fiscale bisogna ridurre la spesa pubblica». Lo studio muove da una prima ripartizione della spesa pubblica regionale (o locale, cioè riferita a tutti gli enti locali, regione inclusa, residenti nella regione stessa): attorno a una spesa media di 2.963 euro, la Puglia presenta la minore spesa pro capite in assoluto, seguita dalla Lombardia, che nella ricerca viene assunta come il benchmark per il calcolo degli sprechi, perché presenta livelli di servizio superiori a tutte le altre regioni. 
Quanto agli standard dei servizi offerti, infatti, la Lombardia, nella scala messa a punto da Confcommercio viene uguagliata a 1 e in fondo alla classifica c’è la Sicilia, con 0,30. Gli «eccessi» di spesa pubblica locale sono particolarmente evidenti nelle regioni a statuto speciale, in quelle del Sud e in quelle più piccole, che a parità di altre condizioni sprecano di più di quelle grandi per diseconomie di scala.

Le regioni a statuto speciale spendono ben più delle altre, mediamente 3.814 euro, cioè il 28,7% sopra la media dell’Italia e il 36% in più rispetto alle regioni a statuto ordinario (2.812 euro). Nelle regioni a statuto speciale, su 34,4 miliardi di spesa l’anno, 21,9 sono ingiustificati (il 63,6% della spesa contro il 36,8% registrato nelle regioni a statuto ordinario). «Queste regioni, salvo la Sicilia, offrono dei servizi ottimi, ma a prezzi troppo alti rispetto a quelli della regione di riferimento», ha sintetizzato Bella. Basti pensare che la spesa pubblica locale per abitante in Val d’Aosta o in Trentino Alto Adige è più che doppia rispetto a quella del Paese (rispettivamente 6.943 e 6.273 euro contro una media di 2.963 euro). Un altro tema rilevante riguarda la dimensione delle regioni: nelle tre più piccole a statuto ordinario, Umbria, Molise e Basilicata, la spesa pro capite (3.137 euro) supera del 5,8% la media: dunque la “scala”conta, ai fini dei risparmi di spesa, perché le regioni grandi sprecano meno, a parità di altre condizioni.Nelle regioni del Sud, l’eccesso di spesa ammonta al 63,9% del totale contro il 30,7% registrato in quelle del centro-nord. Che è come dire che nel Sud si potrebbero risparmiare 1.859 euro a testa per ottenere la stessa quantità e qualità di servizi pubblici attuali. 


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