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Nozze gay celebrate all’estero, riconoscibili ma senza italiani
Diritti civili. Lo studio del consiglio nazionale del Notariato

Il matrimonio omosessuale è riconoscibile in Italia se a sposarsi siano i cittadini di Stati nei quali sia ammesso il coniugio tra persone del medesimo sesso; il matrimonio omosessuale non è invece riconoscibile se vi partecipi una persona di cittadinanza italiana (o una persona che sia cittadina di un Paese che non ammette il matrimonio omosessuale). 
Lancia dunque un acuto grido d’allarme il Consiglio Nazionale del Notariato che, a seguito di un approfondito esame della materia (nello Studio n. 1-2015/E2002 approvato il 6 maggio scorso ma divulgato ieri), afferma che queste sono le inevitabili conseguenze cui conduce la legislazione attualmente vigente in Italia; con l’invito dunque al legislatore di provvedere con estrema rapidità a disciplinare la questione delle unioni tra persone del medesimo sesso. Si tratta dunque di un monito che segue di poco quello diretto recentemente al nostro Paese dalla Corte europea dei diritti dell’uomo.
Dal punto di vista tecnico-giuridico, alle conclusioni sopra riportate si giunge prendendo in considerazione anzitutto l’articolo 27 della legge 218/1995 (e cioè la legge conosciuta con l’acronimo “dipr”, poiché reca la normativa italiana di diritto internazionale privato), secondo il quale la «capacità matrimoniale» è regolata «dalla legge nazionale di ciascun nubendo al momento del matrimonio»; e, inoltre, dall’articolo 28 dipr, per il quale dal punto di vista formale, il matrimonio si considera valido se tale sia dichiarato dalla legge del luogo in cui esso viene celebrato.
Quindi, per l’Italia, il matrimonio omosessuale contratto in un Paese che ne ammette la celebrazione è perfettamente valido sotto il profilo formale, qualsiasi sia la cittadinanza di chi vi partecipi (e quindi anche se si tratti di cittadini italiani). Però, sotto il profilo sostanziale, al cittadino italiano che contragga un matrimonio omossessuale all’estero manca la «capacità matrimoniale» in quanto, essendo tale capacità regolata dalla legge italiana, gli italiani possono sposarsi solo con matrimonio eterosessuale. In altri termini, l’Italia riconosce, dal punto di vista formale, che il matrimonio è validamente contratto all’estero se tale validità sia attestata dalla legge del Paese in cui esso viene celebrato; ma l’Italia non tollera però che a quel matrimonio partecipi un cittadino italiano (o il cittadino di un Paese che ammette solo il matrimonio eterosessuale).
Ne esce una assurda disparità di trattamento: ad esempio, si possono legittimamente comportare come “coniugi” in Italia coloro che, essendo cittadini di diversa nazionalità (e di Paesi che ammettono il matrimonio omosessuale) stabiliscano in Italia la loro residenza abituale e perciò (articolo 29, dipr) abbiano i loro rapporti personali e patrimoniali regolati dalla legge italiana; costoro, ad esempio, per il nostro ordinamento sarebbero anzitutto coniugati in regime di comunione legale dei beni (a meno che non scelgano il regime di separazione dei beni) e, quindi, gli acquisti effettuati da taluno di essi profitterebbero anche all’altro. Se poi uno di costoro morisse, l’altro dovrebbe essere considerato, dal punto di vista ereditario, quale coniuge del defunto tanto quanto accade per il vedovo di un matrimonio eterosessuale.
Tutto ciò invece non accadrebbe se in quel matrimonio omosessuale uno dei coniugi fosse un cittadino italiano; anche se il matrimonio omosessuale da questi contratto in un Paese che lo ammetta, dal punto di vista formale, sarebbe un matrimonio assolutamente valido, dal punto di vista sostanziale l’ordinamento italiano ad oggi non consente questa situazione, perché l’eterosessualità dei coniugi è, per la nostra legislazione, un presupposto indefettibile. Quindi, in questo caso, sotto il profilo della legge italiana, queste persone andrebbero considerate come se in effetti non fossero coniugate.
È dunque tempo – secondo il Consiglio nazionale del notariato – che il legislatore ponga finalmente termine a questa incresciosa situazione, ricordando che anche la Cassazione (nella recente sentenza n. 2400 del 9 febbraio 2015) ha auspicato un «tempestivo intervento legislativo» volto a regolamentare le unioni omossessuali, anche se in forma diversa da quella del coniugio; e ciò in quanto deve essere «esclusa la contrarietà all’ordine pubblico del titolo matrimoniale estero, pur riconoscendone l’inidoneità a produrre nel nostro ordinamento gli effetti del vincolo matrimoniale». Tale inidoneità infatti non deve attribuirsi a una presunta contrarietà di questa fattispecie ai valori e ai principi fondanti del nostro ordinamento, ma solamente alla mancanza di una scelta legislativa in tal senso.


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