MAGGIOLI EDITORE - La Gazzetta degli Enti Locali


Un ruolo unico, incarichi a termine e licenziabilità
Riforma della Pa - La nuova dirigenza

È vero che con la riforma anche i capi diventano licenziabili se valutati negativamente? La dirigenza pubblica con la riforma Madia dovrebbe trasformarsi profondamente, accentuando i profili di responsabilità, temporalità dell’incarico e rotazione all’interno di un ruolo unico. In questa prospettiva, se al termine di un incarico (di quattro anni, rinnovabili previa partecipazione a una procedura di avviso pubblico) il dirigente dovesse rimanere senza un nuovo incarico e dopo un periodo di collocamento in disponibilità non gliene vennisse assegnato un altro, in caso di valutazione negativa può decadere al ruolo. Per sfuggire a questa “ghigliottina” può chiedere il demansionamento a funzionario. Si tratta di un rafforzamente della possibilità di recessione dal contratto già prevista nel vecchio testo unico del pubblico impiego (articolo 21 Dlgs 165/2001) dove la revoca dell’incarico è legata al mancato raggiungimento di obiettivi di risultato; un meccanismo che non ha mai funzionato.
Nelle sue linee generali la riforma prevede il superamento delle due fasce e, come detto, l’istituzione di un ruolo unico per lo Stato (in cui rientrano tutti i dirigenti delle amministrazioni statali, degli enti pubblici non economici nazionali, delle università e delle agenzie governative), un ruolo unico per le regioni (in cui confluiranno anche i dirigenti della Asl ma non i medici) e un ruolo unico degli enti locali (dove finiscono anche i segretari comunali). Restano fuori dal ruolo unico i soggetti con contratto in regime pubblico: i magistrati ordinari, amministrativi e contabili, gli avvocati e procuratori dello Stato, il personale militare e delle Forze di polizia di Stato, il personale della carriera diplomatica e della carriera prefettizia.
Ogni ruolo avrà una sua Commissione con funzioni, tra le altre, di verifica del rispetto dei criteri di conferimento degli incarichi e dell’utilizzo dei sistemi di valutazione per la loro attribuzione o la revoca. Al termine di ogni incarico è da queste valutazioni che passeranno i dirigenti che, con interpello, verranno collocati alla guida di un nuovo ufficio o confermati per una sola volta in quello in corso.
Tra i criteri di delega è previsto un rafforzamento della responsabilità dei dirigenti, con particolare riferimento alla esclusiva imputabilità a loro della responsabilità per l’attività gestionale e la verifica delle performance degli uffici. Sui sistemi di valutazione delle performance verrà introdotta una semplificazione dell’impianto normativo attuale e ad esso verrà collegata di più la retribuzione, con una omogeneizzazione del trattamento economico fondamentale e accessorio nell’ambito di ciascun ruolo unico.

DIRIGENTI 
Resta il nodo dei criteri per conferire le funzioni
 
La legge 7 agosto 2015, n. 124, disegna un nuovo regime della dirigenza pubblica basato sulla sua articolazione in tre ruoli unificati (dirigenza statale, regionale e locale) e su nuove modalità di conferimento e revoca degli incarichi. Il garante del buon funzionamento di tale sistema è stato individuato nelle commissioni istituite distintamente per ciascuna tipologia di dirigenza, con compiti di gestione dei diversi ruoli. La definizione concreta di tali compiti è rimessa al decreto legislativo del Governo ma i criteri di delega già indicano le missions. Così la Commissione per la dirigenza locale è destinata alla gestione del ruolo dei dirigenti locali, con compiti che coinvolgono in maniera particolare uno degli aspetti più controversi della riforma: le modalità di conferimento degli incarichi. La Corte dei conti, in sede di audizione, ha avuto modo di esprimere i suoi dubbi su un sistema che aumenta la discrezionalità per il conferimento degli incarichi dirigenziali, una discrezionalità solo in parte temperata dalla individuazione di alcuni specifici requisiti. Ed è su questo punto che la Commissione è chiamata ad intervenire definendo i criteri generali in base ai quali ciascuna amministrazione deve individuare i propri o criteri e requisiti per il conferimento degli incarichi mediante procedura comparativa con avviso pubblico. Si aggiunge la verifica successiva del rispetto di tali criteri. Ma soprattutto la Commissione è coinvolta direttamente nel conferimento degli incarichi dirigenziali generali allorchè deve provvedere alla preselezione di un numero predeterminato di candidati in possesso. La scelta spetta poi all’amministrazione nominante. Il nodo è la capacità della Commissione di assumere decisioni ed orientamenti indipendenti alla politica. La delega Madia sul punto appare assolutamente evasiva laddove è stato soltanto previsto, con un emendamento alla Camera, e limitatamente alla istituenda Commissione per la dirigenza pubblica, la selezione di componenti in grado di assicurarne, oltre all’indipendenza, anche la terzietà, l’onorabilità e l’assenza di conflitti di interesse. La selezione deve avvenire con procedure trasparenti e con scadenze differenziate. Saranno le Commissioni in grado di salvaguardare un’effettiva autonomia dei dirigenti nei confronti degli organi politici, nel quadro del modello prescelto dal decreto legislativo n. 29 del 1993, basato sulla separazione tra indirizzo politico e attività gestionale? E’ questa una delle incognite della riforma. 
 
SEGRETARI COMUNALI 
Addio all’albo con regole transitorie per tre anni
 
L’addio all’Albo dei segretari comunali e provinciali è cosa ormai fatta nonostante le vaste campagne di solidarietà nei confronti della categoria che si sono articolate durante tutto l’iter di approvazione della delega. A difesa del loro nome e ruolo si sono schierati magistrati di primissimo piano come Gerardo Colombo o Pier Camillo Davigo, mentre il presidente dell’Anac, Raffaele Cantone, li ha riconosciuti come «le migliori sentinelle contro il malaffare». Ma tant’è, il Governo è andato fino in fondo. 
I segretari comunali confluiranno nel nuovo ruolo unico dei dirigenti degli enti locali che dovrà essere istituito, in ossequio alla riforma della dirigenza, «previa intesa con la conferenza Stato-regioni». 
Saranno questi dirigenti ad assolvere ai compiti di attuazione dell’indirizzo politico, di coordinamento dell’attività amministrativa, di direzione degli uffici e di controllo della legalità. Ma in sede di prima applicazione della riforma, è stata introdotta una salvaguardia: nei primi tre anni, gli enti locali privi di direttore generale (articolo 108 Tuel) dovranno conferire l’incarico ai segretari comunali già iscritti nel relativo albo. 
Nel nuovo quadro di riferimento è previsto l’obbligo – in via generale – per gli enti locali di nominare comunque un dirigente apicale (in sostituzione del segretario comunale). E in capo a questi dirigenti deve essere mantenuta la funzione rogante per coloro che ne hanno i requisiti (tutti gli ex segretari).
Il decreto delegato chiarirà le forme di accesso a questo ruolo della dirigenza degli enti locali con l’istituto del corso-concorso e del concorso. Varrà la regola generale che l’assunzione a tempo indeterminato scatterà dopo il superamento di un esame di conferma dopo i primi tre anni di servizio. 
Ovviamente una volta entrati nel ruolo unico della dirigenza degli enti locali anche per gli ex segretari comunali e provinciali funzionerà il principio del limite dell’incarico e della rotazione , tramite le valutazioni che saranno fatte dalla costituenda Commissione per la dirigenza locale che dirà la sua su valutazioni, assegnazioni e revoche degli incarichi. I posti dirigenziali resi vacanti dovranno essere resi pubblici, con congruo anticipo, nella banca dati tenuta dal Dipartimento della Funzione pubblica, cui è affidata la gestione tecnica dei tre nuovi ruoli della dirigenza (statale, regionale e locale), i dati professionali e gli esiti delle valutazioni relativi a ciascun dirigente.
 
ORGANI DI GOVERNO E MANAGER 
Competenze più nette e responsabilità da riscrivere
 
La responsabilità amministrativa e contabile che può maturare in capo ai dirigenti viene largamente ampliata; è questo l’effetto che si raggiunge attraverso la sottrazione della possibilità che gli amministratori possano essere chiamati in giudizio dalla Corte dei conti e dell’impegno a modificare questa forma di responsabilità, limitando nel contempo la possibilità che in capo ai dirigenti pubblici maturino quelle dirigenziale o di risultato, nonché disciplinare. Possono essere così riassunte le principali indicazioni dettate dalla legge n. 124/2015, cosiddetta Madia, di riforma e riorganizzazione delle pubbliche amministrazioni, in materia di responsabilità dei dirigenti.
Siamo in presenza di una legge delega ed i provvedimenti attuativi devono vedere la luce entro il termine massimo di 12 mesi dalla pubblicazione in Gazzetta Ufficiale della legge delega, quindi entro il 13 agosto 2016 e potrano essere modificati entro i 12 mesi successivi, senza la necessità di dovere ricorrere a nuovi interventi legislativi. Il Governo si è impegnato ad adottare il decreto (o i decreti) legislativo entro termini assai rapidi, al più tardi entro il 2015. Comunque, come peraltro avviene per la gran parte della legge cosiddetta Madia, non siamo in presenza di disposizioni immediatamente applicabili. I principi fissati dalla disposizione sono quanto mai ampi e generici, ma contengono almeno 2 punti fermi che meritano di essere evidenziati.
In primo luogo, si vuole rimettere mano al principio della distinzione delle competenze tra organi di governo e dirigenza, escludendo i primi da ogni forma di maturazione di responsabilità amministrativa/contabile, cioè quella giudicata dalla Corte dei Conti, per le attività gestionali. Si sottolinea, per molti aspetti, quanto già previsto per gli enti locali dall’articolo 107, comma 6, del Dlgs n. 267/2000, disposizione che pone in capo ai dirigenti la responsabilità esclusiva «della correttezza amministrativa, della efficienza e dei risultati della gestione». Con la nuova formulazione la distinzione delle competenze tra organi di governo e dirigenza dovrà essere ulteriormente precisata e dovrà, in particolare, essere rafforzata quella che matura in capo ai dirigenti pubblici.
È strettamente connessa con questa disposizione, e siamo al secondo punto fermo della riforma, la revisione delle responsabilità dirigenziali, amministrativo contabile e disciplinare che possono maturare in capo ai dirigenti pubblici. Con i provvedimenti attuativi, la responsabilità dirigenziale – che ricordiamo essere sanzionata con il divieto di erogazione della indennità di risultato o con la sua drastica riduzione – dovrà essere limitata ai soli casi previsti espressamente dal legislatore. E dalla responsabilità disciplinare dovranno essere esclusi tutti i casi in cui vengono addebitati ai dirigenti comportamenti che producono effetti direttamente imputabili agli stessi, escludendo quindi le ipotesi di «responsabilità oggettiva», legata cioè al semplice ruolo svolto. È evidente che il legislatore in questo modo si propone di ampliare le ipotesi di responsabilità amministrativa che possono maturare in capo ai dirigenti pubblici, forma di responsabilità che diventa quella largamente principale.

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