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Dalla local tax l’occasione per salvare gli affitti

In questi giorni si parla con insistenza dell’architettura della nuova fiscalità locale. Da un lato, vi è l’impegno del presidente del Consiglio a eliminare la tassazione sulla prima casa, e cioè sull’unità immobiliare che il proprietario utilizza come dimora abituale. Dall’altro, vi è il proposito del Governo di varare la cosiddetta “local tax”, vale a dire il nuovo tributo locale sostitutivo di Imu e Tasi.
Sul primo aspetto, va accolta positivamente la conferma del presidente Renzi, avutasi negli interventi alle manifestazioni di Rimini e di Pesaro, dell’impegno a eliminare ogni tipo di imposizione (sia Imu sia Tasi, ha detto il premier) su tutte le prime case («per tutti», ha detto Renzi). Si tratta di una doppia sottolineatura importante, che consentirà di eliminare una grave discriminazione che attualmente colpisce alcune tipologie di immobili, quelli inquadrati nelle categorie catastali A/1, A/8 e A/9. Abitazioni che, anche se “prime case”, sono ora soggette sia all’Imu sia alla Tasi, addirittura con un’aliquota massima pari al 6,8 per mille (contro il 3,3 delle altre categorie catastali). Si tratta di immobili impropriamente definiti “di lusso”, essendo diversissimi fra di loro per effetto dell’impostazione stessa del nostro Catasto, e proprio per questo distribuiti sul territorio nazionale in modo del tutto disomogeneo. In ogni caso, se la scelta è quella di sottrarre a tassazione la “prima casa”, non vi è ragione di operare distinzioni nell’ambito degli immobili abitati dai proprietari, tantomeno con l’irragionevole sistema di cui s’è detto.
Il secondo tema, connesso al primo, è quello del varo della “local tax”. Se il nuovo tributo manterrà l’impostazione delle attuali Imu e Tasi – quella, cioè, di imposta di natura patrimoniale -, esso dovrebbe al minimo porre rimedio alla fortissima penalizzazione subita dall’affitto, abitativo e no, a partire dal 2012. “Al minimo”, perché l’esigenza di ridurre la tassazione riguarda tutti gli immobili, considerato che essa si è quasi triplicata ed è ora più che doppia rispetto alla media europea. Mentre vi è persino il rischio che l’eliminazione dell’imposizione sulla “prima casa” si accompagni ad aumenti, palesi od occulti, sugli altri immobili.
Rispetto al 2011 – ultimo anno di applicazione dell’Ici – un’abitazione affittata con contratto “libero” paga oggi il 160% in più di imposte patrimoniali (poi ci sono quelle sul reddito da locazione). In caso di contratto “concordato”, e cioè a canone più basso di quello di mercato, l’aumento sfiora addirittura il 300%: per queste locazioni, dunque, la tassazione si è addirittura quadruplicata, nonostante si tratti di quelle riguardanti le fasce deboli.
Anche per gli immobili non abitativi – ove, oltretutto, non si applica la cedolare secca – la situazione è gravissima. Le imposte statali e locali (ben 7) erodono fino all’80% del canone. Percentuale che arriva a sfiorare il 100% se alle tasse si aggiungono le spese, che la legge riconosce fiscalmente nell’offensiva misura del 5% (codificando così, di fatto, il principio della tassazione finanche dei costi di produzione di un reddito). Senza considerare il rischio morosità, sempre più elevato.
Nel settore abitativo, l’assenza di redditività porta alla progressiva riduzione dell’offerta di abitazioni in locazione, particolarmente grave in un Paese – come l’Italia – in cui l’affitto è da sempre assicurato dai tanti piccoli risparmiatori dell’immobiliare. Non si può pensare che ciò non abbia conseguenze, considerando anche lo stato in cui versa l’edilizia pubblica.
Nel settore non abitativo, gravato anche da una legislazione vincolistica fuori dal tempo, la prospettiva è altrettanto inesorabile: aumento dei locali sfitti, chiusura di attività economiche, perdita di posti di lavoro.
Se si vogliono impedire conseguenze sociali ed economiche disastrose, peraltro già in atto, è necessario che la local tax preveda un intervento di detassazione dell’affitto. Equità e buon senso richiederebbero che fosse del tutto abolita l’imposizione patrimoniale sulle case date in affitto come abitazioni principali (le “prime case” degli inquilini) e fortemente ridotta quella su tutti gli altri immobili locati, eventualmente attraverso deduzioni dall’imposta sul reddito. Un segnale in tale direzione è comunque indispensabile, e lo si potrebbe dare con limitatissime risorse. Il Governo ha intenzione di affrontare questa emergenza?

Giorgio Spaziani Testa*
* Presidente Confedilizia


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