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Impugnazione impossibile per gli atti di diffida dell’ente
Giustizia. Manca l’interesse perché l’atto non è direttamente lesivo

La mera diffida dell’ente pubblico (locale) – nella fattispecie ad eseguire alcuni lavori sulla rete fognaria asservita a un condominio – non essendo atto immediatamente lesivo della sfera giuridica del soggetto intimato non integra l’interesse a ricorrere come invece accade nell’ipotesi, del tutto diversa, dell’ordinanza amministrativa emanata dall’ente.
Così si è pronunciata la Quinta Sezione del Consiglio di Stato nella sentenza n. 3955/2015.
La vicenda trae origine dal contenzioso attivato da un condominio che aveva impugnato l’atto dell’ente locale, con il quale gli era stato ordinato di effettuare alcuni lavori necessari a eliminare le infiltrazioni d’acqua presenti nei locali condominiali. All’esito delle verifiche tecniche disposte nel corso del primo grado si era poi accertato che con ogni probabilità le infiltrazioni erano derivanti da un area più ampia di quella presa in esame e comunque non addebitabili a responsabilità del condominio ricorrente.
Contro la sentenza di primo grado – che aveva accolto il ricorso – ha proposto appello l’ente locale sostenendo l’inammissibilità del ricorso per difetto di lesività dell’atto impugnato, in quanto recante una mera diffida.
La sezione ha invece rimarcato la fondatezza dell’appello proposto, condividendo l’eccezione sollevata dal Comune appellante circa l’inammissibilità del ricorso; così evidenziando una sostanziale differenza, in termini di presupposti per l’azione giudiziale, tra l’impugnazione di una mera diffida (come nel caso in questione) o di un’ordinanza contingibile e urgente.
Nel caso specifico, gli atti del Comune, considerati dal condominio come immediatamente lesivi dell’interesse da tutelare attraverso la proposizione del ricorso, facevano riferimento a un fonogramma da parte degli uffici comunali competenti diretto alla Polizia municipale con cui si intimava di diffidare l’amministratore e i proprietari del condominio a eseguire i lavori di cui sopra e a un successivo verbale con cui la Polizia municipale diffidava il condominio a eseguire le opere. 
Sia il primo atto (interno tra uffici amministrativi) sia il secondo, costituente la formale diffida, non sono considerabili come un’ordinanza contingibile ed urgente, tanto più che il primo atto doveva intendersi come atto interno tra due diversi uffici comunque riconducibili al Comune.
La mera diffida non può pertanto essere equiparata all’ordinanza sindacale disciplinata dall’articolo 54 del Testo unico degli enti locali, il quale prevede, tra le competenze del sindaco, anche quella di emanare provvedimenti «contingibili ed urgenti, al fine di prevenire e di eliminare gravi pericoli che minacciano l’incolumità pubblica e la sicurezza urbana». Ciò che rileva, pertanto, è la diretta lesività dell’atto, che nella fattispecie non sussiste quanto alla lettera di diffida impugnata. (si veda anche Consiglio di Stato, n. 1206/2015), che peraltro difetta anche dei requisiti di «provenienza e motivazione» (propri dell’ordinanza sindacale) dell’atto impugnato.
Non può soccorrere le ragioni del condominio il mero richiamo all’articolo 54 del Tuel contenuto nell’atto interno tra i due uffici amministrativi, trattandosi di riferimento semmai da intendere in prospettiva prodromica di ulteriori e diverse iniziative dell’ente. Ne consegue che avverso atti – quali la diffida e l’atto interno ad essa allegato come nella vicenda esaminata – in quanto atti del tutto preliminari ( e preparatori di possibili ulteriori atti del Comune) non lesivi della sfera giuridica del soggetto intimato, risulta inammissibile qualunque ricorso giurisdizionale.


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