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La minoranza Pd rompe, Renzi accelera
Riforme. La bersaniana Lo Moro lascia il tavolo dei dem sulle riforme - Oggi la conferenza dei capigruppo, l’irritazione di Grasso

L’ipotesi di portare direttamente in Aula il Ddl Boschi senza relatore, saltando il voto in commissione, che aleggia dalla mattina dopo una riunione ristretta a Palazzo Chigi tra Matteo Renzi, Maria Elena Boschi, Anna Finocchiaro e Luigi Zanda. La rappresentante bersaniana Doris Lo Moro che improvvisamente abbandona sdegnata («si sta parlando di nulla») il tavolo del Pd che da qualche giorno sta cercando una difficile quadra sulle modifiche da apportare alla riforma costituzionale. Il presidente del Senato Grasso che abbandona un fretta e furia un convegno alla Camera («scusate, in?Senato c’è una vera e propria situazione di emergenza») perché apprende dalle agenzie la convocazione di una capigruppo che lui non ha ancora convocato e subito detta: «Finché resta in vigore questo regolamento a convocare la Conferenza dei capigruppo dovrà essere solo il presidente del Senato e non altri». Il senatore Gaetano Quagliariello, ex ministro per le Riforme e coordinatore del Nuovo centrodestra, che presenta come se niente fosse un disegno di legge per reintrodurre il premio alla coalizione invece che alla lista nell’Italicum già legge dello Stato da 5 mesi. Il senatore leghista Roberto Calderoli che minaccia sfracelli in Aula («ho già pronti 8 milioni di emendamenti»). E il solitamente moderato Paolo Romani, capogruppo azzurro in Senato, che ribadisce con forza il suo no alla riforma costituzionale se non si riscrive l’articolo 2 avvertendo: «Il governo vuole andare alla conta? Spero che faccia bene i conti». Intanto lui, Matteo Renzi, risponde «non apro bocca» ai cronisti che gli domandano del caos in Senato e dello scontro aperto nel Pd. Ma intanto ribadisce la tempistica: «Il sì alle riforme deve arrivare entro il 15 ottobre, che poi c’è la Legge di stabilità». 
Il meno che si possa dire della giornata di ieri a Palazzo Madama è che la discussione sulla riforma del Senato e del Titolo V, innanzitutto all’interno del Pd ma anche con Forza Italia e con la Lega, è precipitata. Precisamente è precipitata verso il voto in Aula, possibile già da questa settimana dopo che il Pd ha chiesto e ottenuto dal presidente Grasso la convocazione di una capigruppo (ci sarà oggi alle 15). La decisione di Renzi e dei vertici del Pd di saltare il voto in commissione e andare direttamente in Aula si concretizza dopo lo strappo della minoranza del Pd, che con Lo Moro ha abbandonato il tavolo del confronto, e dopo che la presidente della commissione Anna Finocchiaro ha compiuto in un certo senso il suo dovere: ossia giudicare inammissibili gli emendamenti all’articolo 2 del Ddl Boschi tesi a reintrodurre l’elezione diretta dei senatori, come continua a pretendere la minoranza del Pd forte di 29 senatori dissenzienti: «Per quanto riguarda l’articolo 2, relativo alla composizione della seconda Camera, sono ammissibili solo gli emendamenti riferiti al quinto comma del nuovo articolo 57 della Costituzione che hanno ad oggetto la durata del mandato dei senatori – scandisce Finocchiaro aprendo nel pomeriggio i lavori della commissione -. Mentre non sono emandabili le parti del testo approvate in doppia deliberazione conforme, le quali prevedono che il Senato sia composto da consiglieri regionali, eletti in secondo grado, in quanto sede della rappresentanza nelle istituzioni territoriali». 
Il precedente istituzionale è fissato: la presidente della prima commissione ha deciso sull’articolo 2. È a questo punto che parte il contropiede della maggioranza: «Non abbiamo nessuna intenzione di rompere, ma ai temporeggiatori che vorrebbero uccidere silenziosamente la riforma ricordo che la doppia conforme è chiara», ha spiegato Renzi ai capigruppo del Pd. Insomma, «hanno provato a fare ammuina e allora il governo ha chiamato il banco». Ora la palla passa tutta nel campo di Grasso, che per giorni ha provato a evitare la decisione drammatica («qualsiasi scelta farò – ripete ai suoi – a questo punto la riforma rischia di non saltare») invocando una soluzione politica. Soluzione politica impossibile, visto l’incagliarsi della discussione nel Pd sull’articolo 2. Sta ora a Grasso decidere se conformarsi alla decisione di Finocchiaro o aprire l’articolo 2 alla valanga di emendamenti. E al rischio di una crisi politica. 


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