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I Comuni salvano i giudici di pace
Chiesto al ministero di mantenere a proprie spese 273 dei 667 uffici soppressi

Il 40% delle sedi di giudice di pace soppresse dalla riorganizzazione degli uffici giudiziari partita a settembre di due anni fa continuerà a funzionare. Ci sono, infatti, 273 Comuni che si sono fatti avanti per mantenere a proprie spese i servizi dei magistrati onorari. E così le 667 sedi di giudice di pace di cui la riforma – voluta dalla legge delega 148/2011 e applicata con il decreto legislativo 156 del 2012 – aveva previsto di disfarsi, in realtà si riducono a 394.
I numeri sono ancora suscettibili di aggiustamenti, perché al primo salvataggio degli uffici scattato ancora prima che la nuova geografia giudiziaria diventasse operativa – salvataggio a cui avevano fatto ricorso circa 300 enti locali, di cui 201 poi risultati avere le carte in regola – si aggiungono ora i Comuni che hanno usufruito della riapertura dei termini (introdotta dal decreto legge 192/2014, convertito nella legge 11/2015) ed entro il 30 luglio scorso hanno inviato al ministero della Giustizia la richiesta per mantenere in vita la sede del giudice di pace. A questo secondo appello hanno risposto 72 amministrazioni, di cui ben 13 nel distretto di Corte d’appello di Catanzaro (si veda la tabella a fianco). Non è, però, detto che – così come è avvenuto in occasione della prima “sanatoria” – i richiedenti abbiano tutti i requisiti per essere accontentati. È pur vero che possono aver fatto tesoro dell’esperienza dei Comuni che avevano usufruito della prima opportunità. E anzi, tra gli enti locali che hanno risposto alla seconda chiamata possono anche esserci quelli esclusi in prima battuta. 
Non solo: la percentuale di “bocciature” dovrebbe essere minore, perché il ministero della Giustizia ha fornito precise indicazioni sul da farsi con una circolare diramata a maggio scorso. In quel documento viene ribadito che le spese per il funzionamento degli uffici di giudice di pace salvati dal taglio sono totalmente a carico dei Comuni, a esclusione degli stipendi dei magistrati onorari e di quelle per la formazione del personale. Quest’ultimo, però, deve essere messo a disposizione dagli enti locali. La formazione dei cancellieri, funzionari, assistenti, ausiliari e operatori giudiziari dovrebbe partire nella prima settimana di ottobre e concludersi entro fine anno, così che a fine febbraio 2016 il ministero della Giustizia possa ufficializzare il nuovo elenco di sedi escluse dalla sforbiciata.
Al momento a via Arenula hanno istituito un gruppo di lavoro che ha effettuato un esame preliminare delle 72 nuove richieste, verificando se siano state spedite correttamente (era consentito anche l’invio per posta elettronica certificata) e se siano arrivate nei termini. Il passo successivo sarà la valutazione dei requisiti, per capire se per le sedi “sopravvissute” gli enti locali assicurano le condizioni logistiche e di personale per un funzionamento senza intoppi.
Un impegno non facile per le amministrazioni, considerati i tempi di ristrettezze finanziarie. Un parziale ristoro arriverà dal fatto che le spese per la gestione degli altri uffici giudiziari dal 1° settembre sono passate dai Comuni alla Giustizia (si veda l’altro articolo). C’è, inoltre, da considerare che ai municipi è stata riservata la possibilità di unirsi, così da dividere costi e incombenze delle sedi “salvate”. In tal caso – così come in quello di enti consorziati o di comunità montane – a rispondere davanti al ministero è l’amministrazione che ha chiesto il ripristino dell’ufficio del magistrato onorario. Se la solidarietà iniziale dovesse venir meno e qualche ente dovesse tirarsi fuori dal gruppo, gli altri “partecipanti” potranno decidere di andare comunque avanti e ripartire i costi oppure fare marcia indietro e rinunciare al desiderio di avere l’ufficio del giudice di pace sotto casa.


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