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Benchmark di efficienza per la Pa
Cassazione. Intollerabile l’ignoranza del diritto e delle proprie determinazioni da parte degli uffici

Per capire se la pubblica amministrazione è in colpa basta confrontare il suo operato con quello che, nella stessa situazione, avrebbe tenuto un’amministrazione virtuosa. La Corte di cassazione, con la sentenza 19883, detta un chiaro principio da usare come indice rivelatore di efficienza e traccia l’identikit del perfetto amministratore. Nel mirino dei giudici era finito un Comune che, dopo aver rilasciato una concessione per costruire un immobile metà opificio metà abitazione, aveva messo in atto una serie di stop and go. In prima battuta il via libera era stato revocato perché contrario al piano regolatore approvato in un secondo momento, poi ne era stata sospesa l’efficacia perché i lavori eseguiti erano diversi da quelli autorizzati.
Nell’altalena di semafori verdi e rossi si erano inserite anche altre due ordinanze: prima per stabilire la decadenza del diritto a costruire perché il tempo era scaduto, infine per sospendere l’efficacia della concessione, ancora una volta per difformità delle opere. 
Il “beneficiario” della concessione aveva così ultimato nel ’94 i lavori iniziati nell’81 e per questo aveva chiesto i danni. La Corte d’appello, pur riconoscendo che i provvedimenti adottati erano illegittimi, aveva escluso il dolo o la colpa. La sentenza, impugnata dai diretti interessati, offre l’occasione per elencare il decalogo del buon amministratore. Per la Cassazione non è ragionevole pensare che la Pa non sappia se il piano che disciplina l’uso del suo territorio sia vigente o meno e se questo sia in linea con le autorizzazioni che lei stessa rilascia: né può accorgersi dello “scostamento” due anni e quattro mesi dopo aver dato l’ok per la costruzione. Lo stesso vale anche per il provvedimento sulla decadenza della concessione per lo sforamento del termine di ultimazione dei lavori, emesso senza porsi il dubbio che sui tempi dilatati c’era almeno una corresponsabilità degli amministratori così “indecisi” sul da farsi.
Per la Cassazione la Corte d’appello sbaglia a ritenere scusabile e non colposa la condotta della Pa. Perché se l’ignoranza della legge non è ammissibile da parte del cittadino è intollerabile nell’amministratore. I giudici sottolineano che l’articolo 1176 del Codice civile, che detta la nozione di diligenza ai fini dell’accertamento della colpa, è certamente più stringente per il professionista medio che per il cittadino. Il criterio, precisa la Cassazione vale anche per la Pa e, a scanso di equivoci, chiarisce che per «medio» non si intende mediocre ma bravo, preparato e zelante. Per stabilire se la Pa ha tenuto una condotta colposa è necessario valutare come si sarebbe comportata, in una situazione speculare, un’amministrazione efficiente.
E i giudici identificano la Pa virtuosa in quella che: rispetta la legge; agisce in modo efficiente senza aggravi per i cittadini; non perde tempo, non si balocca e agisce a ragion veduta; è composta da funzionari preparati, prudenti e zelanti. Questo è il modello astratto di Pa e di pubblico impiegato, con il quale la Corte d’appello avrebbe dovuto confrontare il comportamento reale tenuto dal Comune finito sotto accusa. Che siamo lontani è evidente. Anche se l’onere di provare il danno spetta al privato, perché la colpa non basta per dimostrare il pregiudizio subito.


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