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Pa, stretta sui licenziamenti per i «furbi» e meno discrezionalità ai dirigenti
Decreto Madia. L’ipotesi tecnica allo studio

Giro di vite contro i furbetti e i fannulloni nella Pa: i tecnici della Funzione pubblica stanno ragionando su un pacchetto di interventi per modificare la delicata materia dei procedimenti disciplinari, da inserire nell’emanando decreto attuativo della legge Madia di riordino del lavoro pubblico. L’ipotesi (e la novità) principale allo studio è quella di porre in capo all’«Ufficio per i procedimenti disciplinari» (l’Upd, già presente in tutte le strutture) le procedure per irrogare sanzioni superiori al rimprovero scritto, prevedendo termini perentori di inizio e fine del procedimento. Un’altra novità, stavolta sulle assunzioni, potrebbe arrivare dal Parlamento, con il Pd che starebbe pensando a un emendamento alla legge di stabilità per innalzare il tetto del turn-over (probabilmente solo per alcuni comparti). 
Tornando ai procedimenti disciplinari, l’obiettivo è muoversi in continuità con il Dlgs del 2001 e la riforma Brunetta del 2009, limitando il ruolo del singolo dirigente a capo dell’ufficio, che spesso non si attiva per paura di dover poi rispondere di danno erariale. Attualmente i dirigenti sono responsabili del procedimento disciplinare per sanzioni fino alla sospensione per 10 giorni del dipendente “infedele”. 
L’Ufficio per i procedimenti disciplinari invece è competente per le sanzioni superiori, fino ad arrivare a quella più grave del licenziamento. Ma nella pratica la titolarità da parte dei dirigenti di parte delle sanzioni conservative ha creato di fatto numerosi problemi applicativi, fino ad arrivare a una quasi totale impunità dei “furbetti”. Emblematico è il caso dei 767 vigili urbani di Roma che non si presentarano al lavoro la notte di Capodanno 2014 dandosi malati. È trascorso quasi un anno, sul piano amministrativo, è stata disposta solo qualche mini sospensione nei confronti di una manciata di loro (mentre sono in corso le indagini da parte della procura). 
L’idea allo studio a palazzo Vidoni è quella di accentrare gran parte delle competenze disciplinari in capo all’Ufficio per i procedimenti disciplinari. Al responsabile della struttura (cioè al singolo dirigente) rimarrebbe la competenza solo per il rimprovero verbale e scritto. Il responsabile dell’ufficio in cui opera il dipendente “infedele” manterrebbe invece la funzione della segnalazione entro un certo termine. La mancata segnalazione verrà sanzionata in via disciplinare con la sospensione da 3 giorni a 6 mesi salvo le più gravi condotte. 
Altra novità allo studio è la sistematizzazione di alcune norme contenute nella riforma Brunetta del 2009 in materia di rapporto tra legge e contrattazione collettiva. Qui si pensa di confermare il divieto per la contrattazione di istituire forme e procedure di impugnazione delle sanzioni disciplinari. Cosa significa? «Che i vecchi, ma soprattutto i prossimi contratti collettivi non potranno modificare le disposizioni procedimentali nè introdurre forme di accertamento della legittimità della sanzione diverse da quella giudiziale – spiega Sandro Mainardi, ordinario di diritto del Lavoro all’università di Bologna -. I Ccnl potranno invece normare su tutto il resto delle infrazioni disciplinari, anche introducendo nuove ipotesi sostanziali di licenziamento». 
Sotto il profilo sostanziale, poi, si confermerebbe l’applicabilità delle norme disciplinari anche nei confronti dei dirigenti e dei titolari di incarichi dirigenziali privi della relativa qualifica. In particolare, l’ipotesi su cui si sta ragionando è quella di ribadire la sanzionabilità di coloro che non attivano il procedimento disciplinare o determinano la decadenza dell’azione per violazione dei termini. Sul tavolo c’è anche l’idea di mantenere la pregiudizialità solo sostanziale (e non più procedurale) tra procedimento penale e procedimento disciplinare: in pratica, il procedimento disciplinare, una volta attivato, dovrà viaggiare spedito e non dovrà più fermarsi in attesa del giudicato penale (si potrà fermare solo se non c’è prova, e serve che sia fornita dalla causa penale). Si tratta di superare un grosso limite dell’attuale quadro regolatorio, poiché, oggi quando il dirigente chiede accertamenti istruttori complessi la procedura disciplinare si interrompe, e va avanti (se attivata) solo la procedura penale promossa dai magistrati (che se si conclude con l’archiviazione finisce, inevitabilmente, per pregiudicare l’azione disciplinare). 
Sullo sfondo resta ancora il nodo delle tutele in caso di licenziamento illegittimo (vale a dire l’articolo 18). Nella Pa, secondo l’interpretazione prevalente, vige il vecchio art. 18 dello Statuto (nel privato dallo scorso 7 marzo per i nuovi assunti sono operative le “tutele monetarie crescenti” del Jobs act). L’orientamento di palazzo Vidoni potrebbe essere quello di mantenere la tutela reale: «Ma visto che si sta cambiando il procedimento disciplinare si potrebbe avere un pò più di coraggio – aggiunge Mainardi – e aprire al risarcimento economico laddove, per esempio, pur nella sussistenza di gravi illeciti disciplinari accertati giudizialmente, vi sia la dichiarazione di invalidità dell’atto di recesso per meri vizi procedurali». 


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