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Dismissioni con due bonus ai Comuni
Urbanistica. Il Dm Economia 7 agosto 2015 incentiva la velocità nel cambio di destinazione d’uso dell’immobile pubblico da cedere

Nuovi incentivi per accelerare la dismissione degli immobili pubblici. Lo Stato ci riprova promettendo ai Comuni una parte del prezzo incassato dalla vendita e un contributo di costruzione aggiuntivo, rispetto a quello che si paga normalmente per la realizzazione delle opere edili. 
I bonus sono contenuti nel Dm Economia dello scorso 7 agosto (pubblicato sulla «Gazzetta ufficiale» del 16 settembre), necessario per rendere operative le misure urgenti per la valorizzazione degli immobili pubblici inutilizzati contenute nell’articolo 26 del decreto legge 133/2014 (più noto come Sblocca Italia). 
Già in passato i Governi hanno tentato di vendere caserme dismesse, uffici vuoti o altri immobili di proprietà di ministeri o di un’altra pubblica amministrazione statale. Senza però riuscire mai a incassare somme significative per la finanza pubblica.
Stavolta, nonostante il mercato immobiliare sia ancora in crisi, per facilitare le alienazioni si punta a rendere convenienti le operazioni anche per i Comuni sui cui territori i beni sono localizzati. La loro collaborazione, infatti, è fondamentale per qualsiasi operazione di dismissione. Difficile trovare un imprenditore disposto ad acquistare una caserma dismessa, senza avere la certezza della disponibilità del Comune ad approvare una variante al piano regolatore che permetta la realizzazione, al suo posto, di case, uffici o centri direzionali, cioè di immobili che hanno un mercato.
Con le nuove norme sarà più difficile che un sindaco decida di ostacolare una dismissione, non solo perché è allettato dall’incasso di una parte del prezzo di cessione, ma soprattutto perché, gli immobili da alienare sono individuati proprio dal Comune stesso. Fanno eccezione solo i beni di proprietà della Difesa (per i quali si veda l’articolo a fianco). 

La procedura 
La proposta dell’amministrazione comunale deve essere valutata dall’Agenzia del demanio, entro 30 giorni dal momento in cui le viene sottoposta. Nel caso in cui tutti gli organismi interessati concordino sulla valorizzazione e alienazione dell’immobile, viene promosso un accordo di programma per introdurre una variante urbanistica. Naturalmente, i bonus vengono concessi al Comune solo per gli immobili la cui destinazione d’uso urbanistica viene cambiata.
La cifra che il sindaco può inscrivere alle entrate del suo bilancio diminuisce con l’aumentare del tempo che occorre dal momento in cui le amministrazioni interessate raggiungono un accordo sulle modifiche da apportare al piano regolatore e la data in cui diventa esecutiva la variante urbanistica. Si incassa il 15% del valore dell’operazione se la pratica viene chiusa entro un anno. Tirarla per le lunghe non conviene: dopo due anni si tocca il livello minimo del premio, cioè il 5%; tra i 12 e i 18 mesi il bonus è del 13% e tra i 18 e i 24 del 10 per cento. Ma se un Comune non è riuscito a stare dentro i 12 mesi può recuperare qualcosa in base alla complessità del programma di valorizzazione e alla dimensione del Comune interessato.
L’immobile valorizzato può anche non essere venduto ma dato in concessione. In questo caso agli enti proprietari degli immobili viene attribuito il 10% del canone per tutta la durata della concessione (che non può superare i 50 anni). 

I costi di costruzione 
Il decreto del Mef rispolvera una disposizione contenuta nel Dl 351/2001 sulla privatizzazione e valorizzazione del patrimonio immobiliare pubblico. Quella norma riconosce all’ente locale una somma compresa tra il 50% e il 10% del contributo di costruzione previsto dal testo unico sull’edilizia (Dpr 380/2001). L’importo deve essere corrisposto dal concessionario al momento del rilascio del titolo abilitativo edilizio. All’Anci (l’associazione dei comuni) confermano che si tratta di un contributo aggiunto a quello che normalmente si paga quando si realizza un intervento edilizio. Questo può rendere più onerosa per un operatore la concessione. Ma il costruttore dovrà pagarlo solo se espressamente previsto dal bando di gara, che ne fisserà anche la percentuale. Il suo peso non sarà però determinante per le decisioni che l’imprenditore deve prendere se il resto delle condizioni dell’investimento da sostenere lo rendono conveniente.


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