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Frazionamenti con oneri più cari se è ristrutturazione
Consiglio di Stato. «Vecchi» interventi

Titoli edilizi più onerosi, a vantaggio dei bilanci comunali, se si altera la distribuzione interna di un edificio per rendere più agevole una destinazione d’uso esistente. Questo quanto meno fino a settembre 2014, quando la «ristrutturazione» ha ceduto il posto alla meno cara «manutenzione». Lo sottolinea il Consiglio di Stato, nella sentenza 12 novembre 2015 n. 5184. Il caso deciso riguarda la sede dell’ufficio Iva di Foggia, che il ministero dell’Economia aveva in locazione: scaduto il contratto, i due piani occupati sono tornati residenziali con l’inserimento di nuovi impianti, la modifica e la ridistribuzione dei volumi. Il risultato finale ha avuto un costo di oltre 40.000 euro di oneri, somma richiesta dal Comune in conseguenza della modifica alla distribuzione interna, dell’alterazione di fisionomia e consistenza fisica dell’immobile causata dalla demolizione di muri divisori, scale, servizi. 

L’intervento, per Comune e Consiglio di Stato, è oneroso: va ritenuto di risanamento conservativo, mentre il privato non può pretendere di risparmiare affermando di aver effettuato solo opere di manutenzione straordinaria. La qualificazione dell’intervento come risanamento è derivata dall’inserimento di nuovi impianti, con la modifica e ridistribuzione dei volumi, anche indipendentemente dalla destinazione d’uso, che da residenziale, con l’attivazione della sede Iva era diventata direzionale per poi tornare ancora residenziale. All’interno di un edificio con volumi già definiti, sono tornati così otto locali commerciali al piano terra, altrettanti autonomi servizi e impianti tecnologici, il vano scala interno è diventato superficie abitabile al primo piano, mentre una serie di divisori ha generato sette unità abitative di oltre 110 metri quadri, con relativi impianti termosanitari. Tutto ciò è ristrutturazione edilizia, perché sono risultati modificati la distribuzione della superficie interna ed i volumi e l’ordine in cui erano disposte le diverse porzioni dell’edificio, indipendentemente dalla destinazione d’uso, che nel caso esaminato è tornata residenziale.

La vicenda risale ai primi anni del 2000 e applica il principio che ricollega l’onerosità dell’intervento al tipo di modifiche e all’entità dei contributi in vigore al momento del rilascio del titolo edilizio (Consiglio di Stato 1513/1998; Tar Torino 3832/2005). Lo stesso intervento, se realizzato dopo il 2014, sarebbe stato possibile con diverse norme sia statali che regionali: la manutenzione straordinaria è infatti diventata più ampia (articolo 3 lettera b, del Dpr 380/2001, modificato dall’articolo 17 Dl 133, legge 164 del 2014)con possibilità di frazionare o accorpare unità, se si mantiene la volumetria complessiva e l’originaria destinazione d’uso.
Dal settembre 2014, l’articolo 17 del Dpr 380/2001 (Dl 133/2014, divenuto legge 164) agevolando la “densificazione” edilizia, avrebbe ridotto di almeno il 20% (rispetto al contributo per le nuove costruzioni), la ristrutturazione e il riutilizzo di immobili dismessi , tutte le volte che non vi sia una variante urbanistica, un permesso in deroga o un cambio di destinazione che generi maggior valore dell’edificio rispetto alla destinazione originaria. La novità rende più facile frazionare e accorpare con manutenzione, perché le parole «frazionare» e «accorpare» sono state inserite nell’articolo 3, lettera b, dal DL 133/2014 all’interno della manutenzione straordinaria. Prima era possibile frazionare e accorpare ma era una ristrutturazione, ben più onerosa.


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