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Un'opinione pubblica europea? Può passare anche da Facebook

E se fossero davvero i social media il modo per creare un’opinione pubblica europea?”Forse”, è stata la risposta emersa dal workshop “Butterfly Europe” organizzato questa settimana dal think-tank italiano “Lo Spazio della Politica” e dalla rivista online di affari europei Gli Euros.
Molti i deputati presenti all’incontro: dai liberaldemocratici Alexander Alvaro e Marietje Schaake al rappresentante del PD (S&D) Gianni Pittella e Marie-Christine Vergiat, del gruppo della sinistra unitaria europea.
Nei loro interventi i pro e i contro di uno strumento che sta rivoluzionando la comunicazione politica di oggi.

Aspetti positivi…

Mettiamolo subito in chiaro. “Con i social media riusciamo a raggiungere molte più persone che con gli strumenti tradizionali”, commenta il vicepresidente del Parlamento Pittella, precisando di avere ben tre profili su Facebook. “Se stampiamo un depliant sull’Europa, al 99% sono soldi perduti, con una trasmissione alla radio o alla televisione raggiungiamo un certo target, ma se usiamo Facebook o chat che permettono l’interattività tra politici e cittadini, possiamo raggiungere anche un milione di persone”.
Oltre alla possibilità di raggiungere un pubblico numeroso, quello che affascina i politici è l’idea che con questi strumenti si riesca in ciò in cui la comunicazione tradizionale ha in gran parte fallito: stimolare le reazioni e la partecipazione dei cittadini alla creazione dell’Europa.
“Voglio sapere che cosa la gente pensa e questo è il modo più veloce”, commenta Alvaro, mentre Schaake sottolinea come spesso le notizie che transitano sui social media arrivino prima, permettendo interventi tempestivi dei politici.
“Prendiamo i recenti scontri in Tunisia. Sui social media le prime avvisaglie di quello che sarebbe successo sono arrivate tre settimane prima che sui media tradizionali”.

… e qualche criticità

Non è tutto rose e fiori, certo. Per prima cosa questa apparente vittoria della democrazia partecipativa rischia di essere soltanto uno specchietto per le allodole, come sottolinea Schaake. “È pericoloso considerare questi social media uno strumento di democrazia diretta”, commenta, spiegando che non tutti i cittadini sono presenti su Facebook o Twitter e che i politici devono guardarsi dal rischio di ascoltare soltanto la voce della maggioranza.
Inoltre, sebbene tutti lodino la nuova interattività con i cittadini, difficilmente l’opinione di un politico cambia per i suggerimenti arrivati attraverso i social network.
E come se non bastasse, aggiornare continuamente i profili richiede molto tempo.
Per questo molti politici si fanno aiutare dagli assistenti anche se la Schaake scuote la testa: “Se non comunichi da solo non sei autentico. Certo a volte è faticoso scrivere continuamente post e devo farlo nei ritagli di tempo: mentre mi sposto da un luogo all’altro, quando sono in ascensore, nei brevi momenti di pausa…”
Non tutti i deputati, poi, la pensano allo stesso modo.
Per Vergiat, per esempio, Facebook può essere sì un mezzo di informazione, ma anche di disinformazione. “Mi rifiuto di avere una pagina pubblica su Facebook, non credo che permetta la stessa qualità della comunicazione rispetto ai mezzi tradizionali”.

Uno strumento per il futuro?
Da alcuni dati anticipati nel corso del seminario presi da un sondaggio sulle tendenze digitali europee, circa il 60% degli eurodeputati sono attivi sui social media. Nell’ultimo anno, inoltre, il loro numero è raddoppiato, specialmente su Facebook, mentre l’uso dei blog è diminuito.
La strada da compiere verso la creazione di un’opinione pubblica europea è ancora lunga, ma i deputati sono fiduciosi.
“È parte del nostro lavoro aiutare a crearla e rafforzarla”, sostiene Alvaro. “E per le elezioni del 2014 i social media avranno probabilmente un ruolo ancora più importante, saranno più sofisticati e intelligenti”.


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