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Patto di stabilità da rivedere
Il contributo degli enti locali al risanamento non deve bloccare le capacità d’investimento, ha affermato il presidente della Corte dei conti Giampaolino in audizione. Infrastrutture, Italia maglia nera anche sui tempi

Occorre rivedere il Patto di stabilità interno nell’ambito dei decreti di attuazione del federalismo fiscale per assicurare che “il contributo degli enti territoriali ai più generali obiettivi di finanza pubblica sia perseguito senza che ciò si traduca in un indesiderato rallentamento degli investimenti”. È quanto ha affermato il presidente della Corte dei conti, Luigi Giampaolino, nel corso di un’audizione presso la commissione per l’attuazione del federalismo fiscale, sottolineando che alla riduzione degli investimenti, anche in infrastrutture, e della spesa in conto capitale (un vero e proprio crollo nell’ultimo anno) non è estranea l’applicazione del Patto di stabilità interno”. Secondo Giampaolino, infatti, “il formale rispetto del Patto si è reso possibile al prezzo di una dequalificazione della spesa e con il sacrificio delle voci a minore grado di rigidità e di resistenza (come, per l`appunto, le spese di investimento). Questo condizionamento ha prodotto effetti perversi non solo sulle infrastrutture primarie, ma anche sull’attivazione di opere pubbliche minori, di interesse locale, che pure avrebbero contribuito al sostegno della crescita nella fase più critica del ciclo economico”.
“È, pertanto, auspicabile che, nell’ambito del processo decisionale delineato dai decreti legislativi attuativi del federalismo fiscale, e, soprattutto, nella definizione di obiettivi, criteri e controlli finalizzati ad una effettiva realizzazione degli interventi infrastrutturali e dei programmi selezionati – ha affermato – sia presa in opportuna considerazione una revisione delle regole del Patto, che riduca per gli enti destinatari la convenienza o la necessità di ricorrere al blocco delle erogazioni in conto capitale, sospingendoli, invece, in direzione di una vera spending review (che miri a privilegiare selettivamente gli interventi capaci di massimizzare gli effetti positivi sulla crescita e sulla riduzione dei divari)”.
Per il resto, i dati evidenziano che l’Italia è maglia nera in Europa sulle infrastrutture sia per quanto riguarda gli investimenti sia i tempi di realizzazione delle opere. “Tra il 2005 e il 2010 – ha affermato Giampaolino – la caduta degli investimenti infrastrutturali, in Italia, è stimata in oltre il 20 per cento in termini reali, con una riduzione dell’incidenza sul Pil che colloca l’Italia nella fascia più bassa nel confronto europeo”. Anche sui tempi necessari in Italia per completare tutte le fasi realizzative delle opere pubbliche “il confronto con gli altri paesi è penalizzante: per opere superiori ai 10 milioni di euro la sola attività di progettazione può essere superiore a cinque anni e la realizzazione può concludersi dopo non meno di dieci anni”. Secondo stime riportate dal presidente dei giudici contabili, “mentre le insufficienze della fase decisionale e di progettazione determinano ritardi più o meno omogenei in tutti i territori del Paese, la fase realizzativa segna una netta divaricazione tra Centro-Nord e Mezzogiorno: nel programma per le infrastrutture strategiche i completamenti a fine 2009 sarebbero stati, nel Mezzogiorno, meno del 10 per cento dei progetti approvati dal Cipe, contro circa il 30 per cento per il Centro-Nord”. Il gap infrastrutturale non è soltanto nei confronti degli altri paesi europei, ma anche in Italia fra Nord e Sud. La tendenza alla riduzione della quota della spesa in conto capitale localizzata nel Mezzogiorno, per la quale in passato era fissato un traguardo del 45 per cento, ha spiegato Giampaolino, appare continua a partire dal 2001: da poco più del 40 per cento si passa ad un valore di stima che, nel 2010, non supera il 35 per cento. Ancora più negativo risulta l’andamento della spesa in conto capitale che, nel Mezzogiorno fino dal 2002 è inferiore al livello del Centro-Nord, con uno scarto che va allargandosi: un indicatore “significativo e molto preoccupante, considerando che agli investimenti pubblici del Sud sono destinate anche le risorse ‘aggiuntive’ di origine nazionale e comunitaria”. Parlando del federalismo infrastrutturale, il presidente dei giudici contabili ha quindi osservato che “occuparsi di interventi speciali e di infrastrutture nelle aree deboli del Paese è, pertanto, un compito difficile e delicato. Misurandosi con scarsità di risorse pubbliche, si tratta di definire nuovi metodi e criteri di selezione degli interventi, di rafforzare il ruolo e ridurre i tempi della progettazione delle opere, di accelerare le procedure per la realizzazione degli interventi, di costruire un solido sistema di monitoraggio e di valutazione dei risultati”. “Pur in un provvedimento sostanzialmente di indirizzo generale e, dunque, necessariamente inteso a costituire una cornice delle soluzioni normative e organizzative – ha detto – si rinvengono diversi indirizzi innovativi, tesi ad eliminare (o a ridurre) le gravi lacune finora evidenziate nella gestione delle politiche infrastrutturali che vedono concentrarsi, proprio nel Mezzogiorno, le maggiori difficoltà di realizzazione della politica di sviluppo e di recupero infrastrutturale”.


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