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Uno sviluppo a tappe
Non solo il maxiemendamento al d.d.l. stabilità, ma anche uno o più decreti e d.d.l. Lo ha detto il premier Berlusconi. Mentre le amministrazioni locali partono alla carica su Patto di stabilità e Robin Tax

Le misure per lo sviluppo su una strada obbligata. Dopo il maxiemendamento alla legge di stabilità la maggioranza potrebbe ricorrere ad un decreto e ad un disegno di legge. “Per quello che non sarà ricompreso nel maxiemendamento utilizzeremo altri veicoli”, ha detto a Cannes, nel corso della conferenza stampa conclusiva del G20, il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi non escludendo che all’orizzonte ci possano essere dei decreti legge o disegni di legge per sostenere altri misure per la crescita. E il ministro dell’economia Giulio Tremonti ha sottolineato che il via libera all’emendamento al d.d.l. stabilità, approvato mercoledì scorso dall’esecutivo, richiederà una “logica molto diversa da quella pianificata prima”. “I lavori del Parlamento – ha affermato – devono avere una logica molto diversa da quella pianificata prima. È un emendamento alla legge di stabilità ma la legge di stabilità è fondamentale poi ci saranno anche le deleghe”. Tutto questo processo, “impone una disciplina e criteri di attività del Parlamento e un voto molto particolari e straordinari”. In tutto questo parte l’assalto da parte delle amministrazioni locali, che battono cassa.

Le richieste delle autonomie
Le rappresentanze delle autonomie chiedono infatti che il governo introduca nel maxiemendamento i contenuti dell’accordo che regioni, Anci, Upi e Ministero dell’economia hanno raggiunto sull’applicazione del patto di stabilità e sul riparto delle risorse derivanti dalla Robin tax. I presidenti della Conferenza delle regioni, dell’Unione delle province d’Italia e dell’Associazione nazionale comuni italiani, Vasco Errani, Giuseppe Castiglione e Graziano Delrio hanno inviato una lettera al premier, Silvio Berlusconi, e ai ministri Tremonti, Fitto, Maroni e Calderoli ricordando di avere partecipato attivamente al tavolo di confronto “raggiungendo un accordo sia sulle norme applicative riguardanti il patto di stabilità, sia con un’intesa fra Regioni, Anci e Upi e Mef per il riparto delle risorse derivanti dalla Robin tax secondo il criterio di considerare il peso complessivo delle manovre” del 2010 e del 2011 e “di procedere a una riduzione degli obiettivi del patto di stabilità proporzionale ai sacrifici richiesti ai Comuni, alle Province e alle Regioni”. Il disegno di legge di stabilità – scrivono Errani, Castiglione e Delrio – non contiene, inspiegabilmente, le norme concordate”. Mentre è necessario “conferire certezza di regole e di obiettivi finanziari alle Regioni e agli enti locali al fine di consentire la predisposizione dei propri bilanci entro i termini di legge”. E a proposito di certezze, qualche scricchiolio nel ddl comincia a manifestarsi.

I rilievi dei tecnici del Senato
I tecnici del Senato esprimono infatti dubbi circa i tagli alle spese dei ministeri che, secondo l’attuale formulazione contenuta nel ddl stabilità, potrebbero portare a un rimbalzo della spesa dopo il 2014: “appare concreto il rischio di aumenti delle spese negli anni successivi al triennio”, si legge nella nota di lettura dei tecnici del Senato sul ddl stabilità secondo la quale nel passato i tagli lineari di spesa dei ministeri “non hanno sempre prodotto i risultati sperati essendo stati seguiti spesso da anomali ‘rimbalzi della spesa negli anni successivi alla loro effettuazione”. Viene quindi richiesta dai tecnici di Palazzo Madama “l’acquisizione di un prospetto di sintesi che sia idoneo a rappresentare appieno la natura economica degli stanziamenti di spesa incisi dalla riduzione”. Dubbi anche sul tetto di spesa di 400 milioni di euro per il 5 per mille nel 2012. “Anche se la lettura è resa incerta dalla tecnica delle proroghe – scrivono infatti i tecnici – la disciplina richiamata sembrerebbe prefigurare un diritto delle associazioni a ricevere le quote dell’Irpef corrispondenti alle scelte espresse. La norma non parrebbe, quindi, configurarsi come limite massimo di spesa, quanto piuttosto come spesa prevista, la cui quantificazione dovrebbe essere definita sulla base di una stima puntuale”. Il governo dovrebbe quindi valutare l’introduzione di “una clausola di salvaguardia per la compensazione degli eventuali effetti finanziari che eccedessero la previsione di spesa”.


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