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La prossima Imu sarà in salsa british
Si guarda all’Europa per le possibili modifiche all’imposta, comunale di nome ma destinata all’erario

È pari a venti miliardi di euro il gettito Imu destinato, però, per la metà all’erario. È questa la più grande stortura dell’Imu, che ha appena superato la soglia della seconda rata di settembre. Martedì, Fabrizia Lapecorella, direttore del Dipartimento Finanze, durante un’audizione alla Camera, non ha fatto mistero del carattere di assoluta particolarità dell’Imposta municipale unica, riconoscendo come si tratti nientemeno che di “una distorsione”. A suffragio della sua tesi, che apre, forse per la prima volta, alla possibile revisione della tassa, la rappresentante del Ministero dell’economia ha rivelato che esiste la disposizione del governo a ripensare l’Imu, senza specificare, però, i dettagli sulle modalità in cui questo disegno andrebbe realizzato. Intanto, a denti stretti anche il ministro del Welfare Elsa Fornero, ospite, sempre nella sera di martedì, alla trasmissione televisiva Ballarò ha riconosciuto come l’introduzione dell’Imu sia il risultato più della fretta di compiacere i mercati e le istituzioni economiche sovranazionali che di un piano strategico di razionalizzazione delle imposte. In ogni caso, la posizione del governo sull’imposta diretta alle proprietà immobiliari non è cambiata, anche perché, ha specificato  sempre Lapecorella, il carico fiscale sugli immobili in Italia “è in linea con la media Ocse. Da noi la tassazione pesa per lo 0,6% del Pil contro il 2,4% della Francia, il 3,1% degli Stati Uniti, il 2,1% del Giappone e una media del’1,1% per gli stati aderenti all’Ocse”. Ciò detto, con le risorse pompate dalle riscossioni Imu, si supererà, anche nel belpaese, il valico dell’1%: tendenza in forte crescita, dunque, che però potrebbe andare incontro a qualche modifica nel futuro prossimo, dove non si esclude anche la restituzione completa del gettito ai comuni. Per quanto riguarda le prossime mosse – e ultime del governo Monti in materia fiscale – sarebbe al vaglio anche uno scorporo della tassa per le imprese, che potrebbero essere investite di un contributo ad hoc basato sul modello inglese. Oltremanica, esiste per le abitazioni provate la Council Tax, i cui proventi sono destinati in maniera esclusiva agli enti locali per opere di specifico interesse pubblico. Quest’ultima, si basa, sì, come l’Imu, sulla rendita catastale, ma armonizzata alla diffusione sul territorio di servizi pubblici essenziali come scuole e ospedali. Le imprese, invece, sono sottoposte a un differente regime d’imposizione, quello stabilito dalla “Residential land or property Sdlt”, che procede in maniera progressiva in base al reddito prodotto in proporzione allo stato di salute dell’impresa. Insomma, non si “spara nel mucchio” delle proprietà, ma si interviene sugli acquirente nel momento stesso della firma del contratto di locazione. Sostanzialmente, le imprese del Regno Unito possono elaborare piani di spesa fiscale diluiti nel tempo, programmando periodi di acquisizioni nelle fasi in cui l’impresa può sostenere il peso della tassa, oppure rinviandoli nei momenti di ristrettezze, in modo da annullare quasi del tutto la portata del balzello. Oltretutto, la “Residential land or property Sdlt” prevede, per le transazioni immobiliari al di là dei 2 milioni di sterline, una maxi aliquota del 15%. Insomma, la strada per avvicinare il sistema dei prelievi sugli immobili italiani a quello britannico, è ancora lunga. Sicuramente, il punto di partenza sarà la riforma del catasto che, come ha concluso Lapecorella andrà “finalizzata alla perequazione effettiva dei differenziali delle rendite» tenendo conto dei diversi territori urbani (centro e periferia) nelle grandi città”.


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