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L’Italia il paese dei pagamenti congelati
Le pubbliche amministrazioni hanno accumulato 136,9 miliardi da liquidare ai creditori: a Milano la protesta dei costruttori

Patto di stabilità e difficoltà di cassa; sono queste le principali artefici, oltre i vari contrattempi gestionali, dei rallentamenti che subiscono  i pagamenti delle pubbliche amministrazioni, che hanno accumulato qualcosa come 136,9 miliardi da liquidare ai creditori. Nel gergo tecnico vengono chiamati i “residui passivi”, nella realtà rappresentano l’ossigeno che smette di far respirare le imprese che vanno incontro alla “morte per crediti” invece che per debiti, un fenomeno tutto italiano.
Sono questi i motivi principali che mercoledì scorso hanno spinto i costruttori a coprire con 10 mila caschetti gialli Piazza Affari a Milano, è stata manifestata tutta la frustrazione e la rabbia per l’emissione di fatture per miliardi, su lavori già realizzati, ma che non sono mai state incassate. Questo problema non riguarda, però, solo l’edilizia, anzi, è molto più trasversale sono aziende di ogni settore ad essere schiacciate dai crediti nei riguardi dei loro enti proprietari.
L’effetto di questa situazione è tanto immediato quanto grave; il Pil italiano, infatti, è al ribasso ormai da sei trimestri consecutivi, – 2,2% il dato 2012 pubblicato giovedì dall’Istat, risulta evidente quindi che una delle priorità della prossima legislatura non può essere che la crescita che, allo stato attuale dei fatti, non c’è.
I 136,9 miliardi di residui passivi sono il frutto dei bilanci di tutti i Comuni, Province e Regioni italiane, verificati, uno ad uno, da una inchiesta del Sole 24 Ore e dalla Corte dei conti, dunque questo dato non tiene in considerazione dei debiti contratti dalle amministrazioni centrali. In questa cifra rientrano anche le opere appena iniziate o fermate dai contenziosi e una quota di residui “fisiologici” per obblighi nati a fine anno e liquidati nei primi mesi dell’anno successivo. 
I pagamenti, per legge, andrebbero realizzati in 60 giorni ma per fornire una stima più prudente si possono eliminare dal conto i “residui” con un solo anno di vita, che sono concentrati per la maggior parte nella spesa corrente, e sono meno del 30%; anche in questo modo comunque si toccherebbe quota 100 – 110 miliardi.
A fronte di questo va considerato che tra 2009 e 2010 c’è un incremento del 2% e che il fenomeno si è ulteriormente intensificato nel 2010 – 2012 per i vincoli più stretti di finanza pubblica. Il conto, poi non prende in considerazione i debiti fuori bilancio generati da decreti ingiuntivi che producono una spesa aggiuntiva.
La grandezza dei residui dipende dalla quantità di spesa, soprattutto per investimento dove la problematica è più complessa, e dalle difficoltà generate dal Patto di Stabilità e dalle casse troppo povere. Le cifre più alte, in generale, si ritrovano al Centro – Sud anche se la situazione dell’Italia intera resta preoccupante; negli investimenti, che è la questione principale, primeggiano gli enti territoriali di Puglia, Campania e Lazio invece nella spesa corrente i residui principali si riscontrano nelle voci dei bilanci pubblici di Lazio, Campania e Piemonte. 
La causa primaria, almeno per comuni e province, è il patto di stabilità che gradualmente ha prima bloccato i pagamenti e poi ha provocato il crollo anche degli investimenti iniziali che ne sono all’origine. Con il tempo, i vincolo hanno accumulato nei conti dei Comuni numerose risorse che, pur essendoci, non si possono spendere; sarebbero, secondo le stime, almeno 10 – 15 miliardi di euro solo nella sezione degli investimenti, bloccati dai vincoli di finanza pubblica.
Oltre a questo, nel Centro – Sud incide la situazione delle casse degli enti, prosciugate da livelli di spesa esorbitante e da tagli alle entrate. Al momento, i palliativi della certificazione hanno solo sfiorato l’enorme monte dei pagamenti, ma in prospettiva si riscontra anche  un rischio ulteriore. La regola Ue dei 60 giorni inserita anche in Italia dal 1° gennaio fa attivare interessi dell’8,75% a chi non rispetta i tempi, e senza interventi strutturali può moltiplicare le spese aggiuntive.
Solamente il Comune di Napoli (3,2 miliardi di residui) ipotizza di spendere nel prossimo lustro 500 milioni in interesse e contenziosi; praticamente il costo di una linea metropolitana che viene fagocitato dalle fatture in ritardo.


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