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Province, la Consulta boccia taglio e riforma
Dichiarata l'illegittimità costituzionale della riforma delle province contenuta nel decreto salva Italia perché non è materia da disciplinare con decreto-legge

Ennesimo colpo di scena nella telenovela che riguarda il taglio delle province: ieri la Consulta, a sorpresa, ha giudicato incostituzionale la riforma degli enti di area vasta varata in due tranche dal Governo Monti e sospesa fino a fine 2013. Per effetto di un’altra pronuncia del Giudice delle Leggi, inoltre, anche la riorganizzazione dei “tribunalini” risulta essere salva.
La Corte costituzionale, accogliendo il ricorso di 8 regioni (Lombardia, Piemonte, Veneto, Friuli Venezia Giulia, Lazio, Campania, Molise e Sardegna), in pratica ha censurato la scelta dell’Esecutivo Monti di impiegare lo strumento del decreto-legge per dare vita al riordino di natura ordinamentale delle amministrazioni provinciali. Il d.l., è scritto nelcomunicato della Corte, è per sua natura un “atto destinato a fronteggiare casi straordinari di necessità e urgenza”. E, in quanto tale, è “strumento normativo non utilizzabile per realizzare una riforma organica e di sistema quale quella prevista dalle norme censurate nel presente giudizio”. 
Nonostante questo principio fosse stato stabilito già precedentemente dal Giudice delle Leggi, il Governo tecnico lo aveva utilizzato lo stesso, addirittura in due circostanze. La prima volta nel dicembre 2011 con l’articolo 23 del “decreto salva-Italia” che trasformava le province in organismi di secondo livello (eletti dai consigli comunali e privi di giunta) e diminuiva in maniera consistente le loro funzioni. Successivamente nel luglio 2012 con l’articolo 17 della spending review che prevedeva la cancellazione di circa 50 enti sui 107 totali; in pratica quelli con meno di 350 mila abitanti e un’estensione minore dei 2.500 km quadrati previsti, fatti salvi i capoluoghi di regione.
Ieri però la Consulta ha bocciato questi provvedimenti in quanto ritiene che si configuri la violazione “dell’art. 77 Cost., in relazione agli artt. 117, 2° comma, lett. p), e 133, 1° comma Cost.”. Per la stessa ragione ha dichiarato incostituzionale anche l’articolo 18 della spending review sull’istituzione delle città metropolitane. Quindi, almeno per il momento, è stata scritta la parola fine sul riordino delle amministrazioni di mezzo che la scorsa legge di stabilità aveva comunque messo in “ghiacciaia” fino a fine anno. 
Per avere chiarezza sul fatto che si tratti di una censura solo di metodo o anche di merito bisognerà aspettare le motivazioni della sentenza che arriveranno entro 10 giorni. Dopodiché la palla passerà al Governo Letta che sembra intenzionato ad avviare una strategia in due tempi: d.d.l. costituzionale e legge ordinamentale.

“La sentenza della Corte conferma che le riforme delle istituzioni costitutive della Repubblica non possono essere fatte per decreto legge – ha affermato l’Upi, l’associazione delle Province – Nessuna motivazione economica era giustificata e quindi la decretazione d’urgenza non poteva essere la strada legittima. Per riformare il Paese si deve agire con il pieno concerto di tutte le istituzioni”.

Secondo Quagliariello, ministro per le Riforme, la decisione dei giudici “rende ancora più importante intervenire attraverso le riforme costituzionali sull’intero Titolo V, in particolare per semplificare e razionalizzare l’assetto degli enti territoriali”.

Esito diverso per un’altra razionalizzazione figlia del Governo Monti: il taglio dei cosiddetti “tribunalini”. La riforma della geografia giudiziaria ha resistito infatti al vaglio della Corte costituzionale, che ha ritenuto infondate le questioni sollevate dai tribunali di Pinerolo, Alba, Sala Consilina, Montepulciano e Sulmona, confermando di fatto la loro soppressione. Con la medesima pronuncia la Corte ha dichiarato infine inammissibile il ricorso avanzato dal Friuli Venezia Giulia e ha salvato dalla scomparsa il solo tribunale di Urbino perché capoluogo di provincia.


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