Sprechi e tagli affondano la p.a.

Fonte: Italia Oggi

I ripetuti tagli imposti ai bilanci dei ministeri ne stanno impedendo la capacità operativa. Se fosse verificata l’equazione più tagli meno sprechi, non ci sarebbe nulla da dire, ma solo da applaudire. La realtà però ci dice che non è così.
Ai tagli lineari e selvaggi delle passate finanziarie sono seguiti tagli selettivi e differenziati, ministero per ministero. L’entità sia complessiva sia specifica è comunque altissima, perché si somma alle misure già prese che avevano semiparalizzato la capacità di azione dei dicasteri. Nella sola ultima manovra si prevedono tagli ai ministeri pari a 9,56 miliardi di euro nel 2012, 4,46 miliardi per il 2013 e 4,31 miliardi per il 2014.
Incontriamo a tal proposito Massimo Battaglia, segretario generale della Federazione Confsal-Unsa, federazione di sindacati autonomi nata nel 1954 nei ministeri, che insieme allo Snals ha fondato la confederazione Confsal, la quarta confederazione sindacale del panorama italiano.

D. Segretario, qual è la posizione della Confsal-Unsa rispetto agli ulteriori tagli ai bilanci dei ministeri previsti dal governo nell’ultima manovra?
R. Stiamo ribadendo all’autorità politica, in modo incessante, ciò che avviene ogni giorno sui posti di lavoro di tutto il comparto ministeri a seguito dell’eccezionale contrazione di risorse che si sta realizzando oramai con continuità anno dopo anno. Siamo arrivati alle soglie del collasso operativo. Contrarre i bilanci senza aver individuato a monte le voci inutili su cui operare i tagli è controproducente. Questa logica cieca sta toccando la carne viva della macchina statale e se ne manomette la capacità di erogare servizi ai cittadini. Noi rappresentiamo lavoratori che non stanno chiedendo di lavorare di meno, ma di essere messi in condizione di fare meglio il proprio lavoro.

D. Se l’entità dei tagli in valore assoluto ha provocato problemi, secondo lei la metodologia degli interventi lineari ha rappresentato un ulteriore sbaglio di prospettiva del governo?
R. Certamente, infatti sono anni che protestiamo per questo approccio lineare. Presi dalla foga di tagliare la spesa pubblica, i nostri politici non hanno compreso che vi è un bene da tutelare e su cui puntare per il rilancio del sistema paese: mi riferisco alla macchina pubblica, costituita dal suo personale e dalla sua strumentazione, che rappresenta una imponente e ramificata organizzazione capace di interfacciarsi con cittadini e imprese per erogare loro servizi essenziali a tutto il nostro sistema economico e sociale. Se tagli dovevano esserci, vista la nota situazione economica, abbiamo richiesto che venissero attuati secondo una logica selettiva, che tenesse conto delle specificità di ogni amministrazione e delle loro particolari situazioni. Non è stato così e gli interventi lineari hanno messo in ginocchio gli uffici. Oggi la scelta di passare ai tagli selettivi è tardiva perché già gli uffici pubblici mancano delle risorse basilari per il funzionamento a partire da carta, toner e riparazioni di fotocopiatrici. La politica finge di non capire che i tagli devono essere mirati ai veri sprechi, ma su questi gravitano troppi interessi politici. Abbiamo bisogno di un cambio di passo culturale che vede il ritorno dell’etica al centro del discorso politico e lo chiediamo come sindacalisti e come cittadini.

D. Secondo lei, questo governo ha iniziato un politica corretta contro gli sprechi?
R. Alcune misure ci hanno fatto a un certo punto ben sperare. Condivido per esempio l’eliminazione delle spese di rappresentanza. Le istituzioni acquisiscono il rispetto della comunità con l’efficienza, non con lo sfarzo. Inoltre, bene si è fatto iniziando a contrarre l’uso delle auto blu. So per certo che a seguito della loro riduzione, parecchi direttori generali sono rimasti appiedati. Se qualcosa è stato fatto, è solo una goccia. Come lavoratori a cui per legge sono stati bloccati gli stipendi fino al 2014 e che giornalmente sono costretti a lavorare in condizioni fatiscenti che in nessuna azienda sarebbero offerte ai propri dipendenti, e mi riferisco a cavi elettrici scoperti nei corridoi e a tubi gocciolanti, reclamiamo che la contrazione massiccia della spesa che investe il pubblico impiego colpisca prioritariamente i veri sprechi del nostro sistema.

D. Segretario, cosa sta facendo la Federazione Confsal-Unsa rispetto agli sprechi di cui parla?
R. Già prima dell’estate la Federazione Confsal-Unsa ha lanciato l’operazione «autunno caldo contro gli sprechi». Tutte le nostre strutture centrali e periferiche hanno lavorato per individuare, ministero per ministero, quelle situazioni, anche scottanti, di sperpero di denaro pubblico. Un’operazione che ha visto il capillare coinvolgimento dei segretari nazionali dei coordinamenti e dei segretari regionali e provinciali della Federazione in tutto il paese. È il segno che per noi «fare sindacato» significa anche denunciare le politiche sbagliate o le inefficienze sistemiche.

D. Ci dia alcuni esempi delle segnalazioni ricevute.
R. Guardi, non c’è che l’imbarazzo della scelta e molte disfunzioni nascono da una deficitaria etica del lavoro e da una mancanza di rispetto della cosa pubblica, spesso asservita a interessi particolari o a collusioni politiche. È un aspetto da denunciare a gran voce e su cui tutti siamo chiamati a riflettere con senso di responsabilità personale. Oltre a ciò esistono sprechi che provengono da una sbagliata concezione dell’amministrazione pubblica, basata sull’idea che il privato faccia più e meglio del pubblico. È un approccio non solo errato, ma anche costoso. Per esempio presso l’amministrazione della giustizia esiste il servizio di fonoregistrazione dei processi penali. È un servizio appaltato e subappaltato a ditte esterne. Si tratta dell’ascolto e della trascrizione di atti processuali. Lo stato deve pagare questo lavoro, realizzabile da risorse interne, e in più permette che dati sensibili come quelli di un processo penale vengano maneggiati da operatori non pubblici. E poi ci si lamenta delle fughe di notizie.

D. Può farci qualche altro esempio?
R. Certo. C’è il capitolo degli sperperi per gli affitti, altri soldi buttati che si sarebbero potuti utilizzare entro il sistema p.a. per il personale e per il materiale. Il ministero dello sviluppo economico paga un canone annuo di 2 milioni e 600 mila euro per la propria sede a Roma a via del Giorgione, facendo felice il proprietario di casa che risponde al nome delle Assicurazioni generali. Molti enti poi stanno vendendo le sedi di proprietà, nel quadro della cessione ai privati del patrimonio immobiliare pubblico, ma presto dovranno pagare affitti onerosi per i contratti di locazione. Ufficialmente nel breve periodo vi è un’entrata di bilancio, mentre questa scelta politica sarà pagata dalle future generazioni con un aggravio di spesa per ogni amministrazione coinvolta.
Prenda poi i settori dell’assistenza e della progettazione informatica. È una questione che ci viene sollevata da molte strutture perché comune a diversi ministeri. Per entrambi gli aspetti, i dicasteri affidano questi servizi a compagnie che si fanno pagare a peso d’oro. Eppure esistono all’interno delle singole amministrazioni delle figure professionali preparatissime che, con un adeguamento delle rispettive dotazioni organiche, potrebbero curare direttamente questi settori. Pensi che, in tema di programmi informatici, per due consulenze occasionali al ministero dell’economia e finanze se ne vanno 180 mila euro in un anno. Perché non risparmiare questi soldi e reinvestirli a favore del personale? Ricordo che già i fondi unici di amministrazione sono stati mortificati negli anni, mentre continuano a fioccare le consulenze per settori gestibili con risorse interne.

D. Sta puntando il dito contro le esternalizzazioni.
R. La mia organizzazione sindacale ha sempre evidenziato la necessità di investire sul personale e sulle risorse della p.a. Abbiamo sempre ritenuto l’esternalizzazione come una scelta strategica viziata da un pregiudizio ideologico. Questo nella migliore delle ipotesi, visto che a volte è stato un disegno mirato per costruire relazioni politiche grazie ai contratti oggetto di appalti. Ma per restare alla tesi del vizio ideologico, va detto che questo sbaglio di prospettiva è pagato a caro prezzo per tutto il nostro sistema paese perché drena risorse dalla macchina pubblica, rendendola sempre meno efficiente e capace di offrire un servizio adeguato alla collettività. Non cesseremo la nostra battaglia: il settore pubblico è una risorsa su cui investire, non una carcassa da smembrare.

D. Dopo gli scioperi disgiunti di Cgil e Uil, quali scenari si profilano per la sua organizzazione sindacale?
R. Le scelte di politica sindacale delle altre organizzazioni le rispetto, ma il nostro cammino è ben preciso e costruito con continuità e coerenza in ogni snodo delle relazioni sindacali degli ultimi anni. Siamo stati responsabili quando c’era da esserlo. Abbiamo capito che, nella fase storica attraversata dal nostro paese, lo strumento dello sciopero non era funzionale al raggiungimento di obiettivi concreti, ma solo una perdita di denaro per i lavoratori; in più era una scelta ideologica di chi non sa o non riesce ad uscire dal proprio ruolo di sindacalismo antagonista. In questi anni duri, con questo senso di responsabilità abbiamo raggiunto almeno alcuni risultati, come dimostra da ultimo il salvataggio delle tredicesime su cui abbiamo minacciato ricorsi giurisdizionali a valanga.
Questa fase si è chiusa e dopo l’ultima Finanziaria abbiamo avvertito il governo che per noi la misura è colma. Vi è stata la mobilitazione del personale da parte della Confsal e della Federazione Confsal-Unsa. Se la parte politica non comprenderà la nostra posizione realizzeremo ulteriori iniziative, contemplando naturalmente quella dello sciopero. Non credo nello sciopero preventivo, ma è una delle opzioni per contrastare ulteriori e concrete misure del governo.
Faccio presente che, congiuntamente con la Confsal e col suo Segretario generale Marco Paolo Nigi, stiamo seguendo da vicino l’evolversi della situazione conseguente alla lettera presentata dal governo al vertice europeo della scorsa settimana.

D. Che sindacato immagina per il futuro?
R. Se la gente non crede più nei partiti e nella politica posso dire che sono orgoglioso di fare parte di un’organizzazione sindacale che ha una vita pulsante, capace di lavorare sodo ogni giorno per rappresentare i lavoratori e i loro interessi. È un’avventura in cui si può esprimere l’impegno civile di ognuno. Ne sanno qualcosa i nostri iscritti e i nostri responsabili sindacali che danno vita a una struttura che è stata sempre libera dai condizionamenti politici e ideologici.

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